Lacrime. Inevitabili. Ma pregne di mille significati, non solo quelle del dolore. Sergio Aguero si ritira dal mondo del calcio a causa dei problemi cardiaci riscontrati pochi mesi fa, in quel match tra Barcellona e Alaves che aveva rievocato gli spettri più oscuri, rimaterializzatisi quest'estate durante gli Europei, quando Eriksen accasciato al suolo fu salvato per miracolo.
Ancora una volta ci si interroga sul livello degli standard medico sportivi adottati in ogni Paese. Ancora una volta è la vita a riportarci coi piedi per terra, a sottolineare che basta un secondo per stravolgere un'intera esistenza. Della delicatezza di ogni cosa, della fragilità dell'essere umano, fisico e umano.
E che, tutto sommato, questo sliding doors debba essere accolto in maniera positiva. Per quanto male faccia. Perché la vita, conta più di tutto il resto. E questo Aguero l'ha capito.
La conferenza stampa di addio
Aguero fa fatica a parlare. A prendere fiato. Quel fiato che tutti i suoi fan hanno tenuto sospeso per settimane. Fino a oggi, quando è arrivata inappellabile la sentenza che nessuno avrebbe voluto conoscere: "Questa conferenza è per comunicarvi che ho deciso di smettere di giocare a calcio".
Ha iniziato così l'argentino, dopo un paio di respiri lunghi e profondi. Trovando e raccogliendo le forze per far uscire dalla sua bocca quelle parole che mai avrebbe pensato di pronunciare.
L'allenatore del Barcellona, Xavi, e tutti i compagni nella platea. Un momento difficile, superabile soltanto concentrandosi sui perché di questo epilogo: "Sono comunque felice per la decisione che ho preso: la mia salute conta più di tutto". L'argentino ha compreso le priorità. Strazianti. Ma che non ammettono controrisposte.
Fino alla fine
C'ha provato fino all'ultimo, Aguero. Il barlume di speranza non s'era mai spento, fino a 10 giorni fa: "Ho fatto di tutto per vedere se c'era qualche speranza ma, purtroppo, non erano molte".
Il Kun non riesce nemmeno a guardare le immagini che il Barcellona manda in onda per omaggiarlo. La fase dell'accettazione è lontana, quella della consapevolezza di aver preso la decisione giusta, invece, è già nella sua testa e nel suo cuore da giorni.
I record con il Manchester City
Si chiude così la carriera di un autentico fenomeno. 663 partite ufficiali, 379 gol e 118 assist. Uno col fiuto del gol come pochi nella storia.
Soprattutto a Manchester, sponda City, Aguero ha fatto la storia. Riuscendo a strappare a Brooks il record di gol fatti con quella maglia, che stava in piedi dal lontano 1939. Ironia della sorte: anche Eric Brooks fu obbligato a smettere: prima per la Guerra, poi per una frattura al cranio in un incidente. Pallottoliere fermato a 177 reti in 13 stagioni. Fino alla stagione 17/18, quella del sorpasso del Kun.
Numeri da capogiro
In carriera, col suo inconfondibile stile dettato dal baricentro basso, collezionerà 184 gol in Premier. Da aggiungere alle 75 nel campionato Spagnolo, alle 41 in Champions, e così via... Trecentosettantanove. Una marea.
Un bomber atipico, forse regalato a un mondo che non l'ha cosiderato così tanto perché, quel mondo, aveva già tra le mani i migliori Cristiano Ronaldo e Messi. I suoi 171 cm così distanti dai colossi che solitamente occupano le aree di rigore. La sua grazia quasi appannata da altri giganti, che l'hanno un po' messo in ombra.
Ma senza dubbio uno spettacolo per gli occhi. Delicato. Mai banale, geniale, imprevedibile. Forte. E basta.
L'arte della finalizzazione
Pai Mei in Kill Bill è il maestro che addestra la Sposa. "L'abate, all'inizio, cercò di consolare Pai Mei, ma ben presto si accorse che Pai Mei era inconsolabile. Così cominciò il massacro del tempio Shaolin e di tutti i sessanta monaci che ospitava per mano del Loto Bianco".
Maestro inconsolabile. Potrebbe essere riassunto così lo stato d'animo dell'argentino durante la conferenza stampa (senza strage a seguire...). Perché Aguero sarà studiato e ricordato per il suo legame inscindibile con l'essenza del calcio: il gol. Come colui da tentare di emulare e raggiungere. Come il custode di tecniche di finalizzazione sconosciute ai comuni mortali.
Capace di scovare angoli di tiro invisibili, di sfruttare al massimo ogni tempo di gioco. Arte pura.
La nuova vita del Kun
"Il fatto positivo è che oggi sono qui a raccontarlo", ha chiuso l'attaccante a fine conferenza. "È un bene che abbiano rilevato il problema ora: me ne vado cercando di trovare la felicità fuori dal calcio, godendomi i momenti che da calciatore mi sono mancati molto".
Nell'anno della tragedia sfiorata di Eriksen (anche il danese sta per salutare il campionato italiano: non riceverà infatti l'idoneità sportiva dal Coni), il mondo del calcio d'elite perde un'altra stella. Una delle più luminose degli ultimi anni.
Ma forse, quando il Kun troverà il coraggio di riguardare tutto ciò che è riuscito a fare in carriera, sarà il momento in cui si renderà conto che tutto sommato la sua vita calcistica è stata meravigliosa. Un aiuto che mitiga il dolore dell'obbligo all'addio. La certezza di aver lasciato un affetto così grande che proseguirà anche fuori dal campo, da lui tanto amato.