Bati, Bati, Bati, Batigol! Batigol! Batigoool! Chi ha vissuto il calcio degli Anni Novanta e dei primi Duemila ha letto questo coro cantandolo nella testa, se non proprio a voce. Con negli occhi ancora le gesta di un cannoniere in senso letterale, che le bombe le sparava col piede destro per poi esplodere in una gioia da abbraccio collettivo, con gli avambracci tesi e i pugni chiusi, sguardo di ghiaccio e bocca spalancata. Un leone divenuto Re del gol: Gabriel Omar Batistuta.
In Serie A TIM arrivò poco più che ventenne e un talento tutto da dimostrare sul palcoscenico calcistico più importante del mondo. Come è andata lo sanno tutti: con la Fiorentina segnò la bellezza di 168 gol in 269 partite, con la Roma 30 reti in 63 gare e con l'Inter "appena" due in 12 incontri. Tre squadre italiane e tre fortune diverse per il Re Leone, che nel 1991 lasciò il Boca Juniors per volare a Firenze. Dove ancora è rimasto nei cuori dei tifosi viola e di tutti gli appassionati di calcio.
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La storia di Batistuta, calciatore controvoglia
Che giocatore, Batistuta. Chissà quante volte sarà stata pronunciata questa frase. La primissima volta forse è uscita dalla bocca da un altro totem argentino (oltre che dell'Atletico Madrid): Jorge Bernardo Griffa. Un buon difensore, un ottimo allenatore, ma un grandissimo talent scout. Di campioni in erbissima ne ha scoperti un bel po', da Jorge Valdano a Carlos Tevez, da Walter Samuel a Ever Banega. Difficile dire quale delle sue scoperte sia stata la più grande. No, scherzo: è stata senza dubbio Gabriel Omar Batistuta.
Il piccolo Bati si trasferisce dalla natale Avellaneda a Reconquista. Pochi chilometri, ma decisivi per il suo futuro, perché qui lo nota Griffa. Resta folgorato dalle capacità di quel ragazzone dagli occhi di ghiaccio e dal talento prorompente. "Vedo questo ragazzone che ha una potenza assurda. È fortissimo anche di testa, è uno che spacca il pallone, ma che nemmeno sa dove andare. Non ha nulla del calciatore, ma sento che in lui c'è un qualcosa di speciale", ha raccontato lo scopritore di talenti a "Maestros del Fútbol". Il primo campetto sul quale ha giocato Batigol si trova nel barrio Chapero, dove il Grupo Alegria, la prima formazione amatoriale del bomber, si incontrava.
Cosa vuol dire "non ha nulla del calciatore"? Vuol dire che Batistuta di giocare a calcio nella sua vita non ne aveva la minima intenzione. E dobbiamo ringraziare il suo attaccamento agli amici del Platense, centro sportivo di Reconquista, se qualche calcio al pallone ha cominciato a tirarlo. La sfera preferisce però colpirla con mani e braccia: è un grande appassionato di pallavolo e basket. Per quanto riguarda il futuro, il giovanissimo Gabriel Omar ha già deciso tutto: una volta finito di studiare, vuole trovare un bel lavoro e trascorrere il suo tempo con Irina, colei che ha già eletto come la donna della sua vita.
Un piano perfetto, che però non aveva previsto l'incognita Griffa. Il ragazzo è troppo forte e vuole portarlo nelle giovanili del Newell's Old Boys del "loco" Marcelo Bielsa. Ma il ragazzo è anche testardo: "Non ero felice di andare al Newell's", racconterà Batistuta a "Ligas Mayores" dopo il ritiro dai campi. "Volevo studiare e in più qualcuno mi aveva messo in testa che la carriera da calciatore era pericolosa. Ricordo che una volta il club ci diede 20 giorni di ferie, ma io rimasi a Reconquista un mese. Fu Griffa a venirmi a prendere, mi disse che sarei arrivato in Prima Divisione. Io ero innamorato della ragazza che poi sarebbe diventata mia moglie, andarmene fu più che altro una costrizione".
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Gli anni in Argentina
Una spinta fuori dall'uscio a Gabriel Omar gliela dà suo padre Osmar, di professione macellaio, che fa leva sul senso di respinsabilità del figlio. "Hai un accordo per un anno con il club e i patti vanno rispettati", gli dice. Bati si convince e nota un cambiamento quasi istantaneo dentro se stesso. "Quando ho firmato il primo contratto ho pensato che si poteva realmente vivere di calcio. Lì la mia mentalità è cambiata totalmente e ho iniziato ad amare profondamente questo sport". Un'altra grande spinta, stavolta di piede sinistro, la dà indirettamente anche il giocatore più forte di tutti i tempi: Diego Armando Maradona (col quale poi giocherà nella Nazionale argentina), sotto forma di poster regalatogli a 16 anni dall'amico Pitti Lorenzini.
L'avventura calcistica non comincia però col piede giusto. L'universo parallelo del pallone in cui viviamo noi sembra lontano galassie da quello argentino (e non solo) di quegli anni. Bati dorme in una camerata comune ricavata all'interno dello stadio e fatica a entrare nella migliore forma fisica, al punto da guadagnarsi il soprannome esplicito di "Gordo". E pensare che fino a poco tempo prima veniva chaiamto "Gringo", alla Clint Eastwood, per la sua capigliatura insolitamente bionda. Alla luce di tutto questo, all'inizio Bielsa non punta su di lui. Non può e non vuole, perché punta al titolo. Per questo il giovane Gabriel Omar va in prestito al Deportivo Italiano, una società della provincia di Buenos Aires dal nome profetico per la carriera dell'attaccante. Il giovane leone di Avellaneda si sente tradito, ma capisce che quello è un ostacolo necessario a rinforzare le gambe.
Nel 1989 riesce a trovare una sistemazione indipendente assieme a un amico, Gustavo Masat, e le cose sembrano finalmente ingranare. Nello stesso anno passa al River Plate, dove incrocia un'altra leggenda argentina, Daniel Passarella, che dopo pochi mesi gli pone un altro scoglio dinanzi, mettendolo fuori rosa. Bati sposa la sua Irina Fernández, nella chiesa di San Roque a Reconquista, e compra la sua prima auto (una FIAT Turbo). La squadra dei "ricchi" però non fa per lui, anche se segna 3 reti in 19 partite. Il trasferimento è clamoroso, perché agli acerrimi nemici del Boca Juniors. Qui mister Oscar Tabarez, altra figura paterna, gli dà la spinta definitiva. Lo sposta dall'esterno al centro dell'attacco, regalando al mondo il centravanti goleador che tutti abbiamo conosciuto.
Batistuta è titolare inamovibile e conquista da protagonista assoluto la Copa America con la sua Argentina. Una sua doppietta ai vecchi compagni del River, imposta come una sentenza il 20 marzo 1991, rimane impressa a fuoco nella memoria dei tifosi vicini e lontani dall'Estadio Monumental di Buenos Aires. Il primo su rigore, procurato da lui stesso; il secondo di testa. La seconda esultanza resta una delle più esplosive della sua carriera: salta, anzi vola sui cartelloni pubblicitari e finisce in ginocchio coi pugni stretti al cielo e alla camiseta, fatti del medesimo blu. Il suo sguardo, altrettanto blu, si posa per un istante sul signore seduto sulla panchina dei Millonarios: è uno sguardo di rivincita e consapevolezza, e a riceverlo è quel Passerella che l'ha voluto cedere ai rivali. Serve dirlo? Alla fine è capocannoniere della competizione. Ed è pronto per un nuovo salto, molto più lungo.
Gli anni alla Fiorentina
L'Europa parla di Batistuta. La Fiorentina lo ammira di persona, tramite gli occhi del presidente Vittorio Cecchi Gori. E poco importa se il patron viola seguisse le partite del Boca per osservare un altro talento - nonché grandissimo amico di Batigol -: Diego Latorre, il trequartista che nei piani della dirigenza avrebbe dovuto sostituire Roberto Baggio. Ma Batistuta era un'altra cosa. L'arrivo nella città di Dante e Brunelleschi non è però affatto bello: il 22enne la percepisce "vecchia" e profondamente diversa da Buenos Aires o Rosario, in preda a un'atentica "saudade" argentina.
La storia però la conosciamo tutti. Firenze diventa casa e mamma e Bati il figlio prediletto. I nove anni in viola sono irripetibili, magnifici, strabilianti. Per il talento, certo, ma anche per l'indomita volontà. "Aveva una voglia incredibile di migliorare e dopo gli allenamenti si fermava sempre al campo per lavorare di più. Aveva davanti Branca e Borgonovo e tra attaccanti non ci si aiuta. Ricordo però che in un Foggia-Fiorentina segnò una tripletta e Borgonovo a fine partita gli strinse la mano. Quel gesto lo consacrò", ha raccontato l'ex difensore viola Alberto Malusci.
Nella prima stagione in Italia, quella 1991-1992, Bati va subito in doppia cifra siglando 13 reti in 27 gare di campionato. I 16 centri della stagione successiva non bastano però alla Viola di salvarsi e arriva la retrocessione in Serie B. Batigol però è una forza della natura e in un solo anno riporta la Fiorentina nella massima Serie, consacrandosi come uno degli attaccanti più dotati e apprezzati del mondo. Nonostante questa forza inarrestabile e i gol a grappoli, però, la lotta per lo Scudetto resta una chimera. L'arrivo in panchina di Giovanni Trapattoni nel 1998-1999 cambia tutto. Il Giglio è campione d'inverno, anche grazie alle giocate di un altro grandissimo campione: Manuel Rui Costa. La sfortuna è però dietro l'angolo e sbuca fuori per l'agguato: Il Re Leone si infortunia dopo aver segnato 17 gol in 17 partite, e la cavalcata verso il titolo si interrompe bruscamente.
L'ambizione sembra superare l'amore per Firenze. Ma Bati resta ancora un anno, giusto il tempo di segnare all'Arsenal a Wembley uno dei gol più belli della storia della Champions League. Forse la rete più emblematica della forza dirompente e cosmica di Batistuta, che dilata lo spazio tempo dell'area di rigore e ridisegna il microcosmo della porta difesa da David Seaman. Il destro che si infila sotto l'incrocio opposto è un missile terra-aria che infuoca l'atmosfera e la curva. Era il 27 ottobre 1999. Due anni prima un altro gol, segnato al Barcellona in semifinale di Coppa delle Coppe, passa alla storia anche per l'esultanza polemica con l'indice teso davanti alla bocca, a zittire col gesto e col talento 110mila tifosi blaugrana al Camp Nou. In quel momento "ha parlato Batistuta, ha parlato la Fiorentina", ha scritto nella sua autobiografia quello che in quel momento era con pochi dubbi il centravanti più forte del globo.
Facendo un altro passettino indietro, andando al 25 agosto 1996, Bati dà sfoggio di potenza e classe con una doppietta che stende 1-2 il Milan a San Siro, nel match che consegna la Supercoppa Italiana alla Fiorentina. Un trofeo storico, come storica è stata l'esultanza, sullo stile di "Adrianaaaaa" di Rocky in salsa pallonara. Batistuta parte a razzo verso l'obiettivo di una telecamera e lascia partire un grido d'amore: "Te amo, Irina. Te amo!". Dall'altro lato del televisore non c'è Irina, la cui antenna quella sera non funzionava nella loro casa al mare, ma ci sono milioni di spettatori. Che hanno ricambiato, per svariato tempo a venire. Il 14 maggio del 2000 contro il Venezia, Batigol mette a segno una tripletta che lo porta ad essere, con 152 reti totali, il giocatore più prolifico di sempre con la maglia della Fiorentina in Serie A TIM, superando Hamrin.
Lo Scudetto con la Roma
Batigol vuole lo Scudetto. Per conquistarlo, deve andare via da Firenze. "L'80% della città mi ha rimproverato, l'altro 20% ha capito che avevo dato tutto e che volevo vincere". Nell'estate del 2000, il cannoniere si trasferisce alla Roma per la somma monstre di 70 miliardi di lire. Mai un giocatore che aveva superato i 30 anni era costato così tanto. Ne sarebbe valsa la pena. "Mancava solo lui a quella squadra per vincere", avrebbe dichiarato a posteriori Fabio Capello.
Pur di giocare in una squadra da primo posto, Gabriel Omar rinuncia al suo numero 9, che resta sulle spalle di Vincenzo Montella. L'inizio è da sogno: 6 gol nelle prime 5 partite di campionato. Arriva anche il turno della "sua" Fiorentina, che il 26 novembre viene bucata dal solito missile dalla lunga distanza. Un gol pesantissimo per la corsa al titolo, ma il Re Leone non ha la forza di ruggire. Mentre tutto l'Olimpico esplode di gioia, lui scoppia in lacrime in mezzo al campo. Il primo amore non si scorda mai.
Poi arriva quel 17 giugno 2001. La vittoria decisiva per lo Scudetto contro il Parma porta ovviamente anche la sua firma. Coautori Francesco Totti e "aeroplanino" Montella. È la gioia più grande della sua carriera di sportivo, "meritatissima" dirà lui stesso anni dopo. Alla Magica Batistuta resta un altro anno e mezzo prima di partire alla volta di Milano per la sua ultima avventura italiana.
La parentesi all'Inter
Il passaggio all'Inter è una parentesi opaca, decisamente deludente. "A Roma sarei rimasto a lungo, ma accettai la proposta dell’Inter. Fu Massimo Moratti in persona a convincermi, tra di noi c’era molta stima. Mi dispiace di non avergli dato di più”, spiegherà alla rivista Sette anni dopo. I sei mesi in maglia nerazzurra li passa lontano dalla famiglia, che non fa trasferire dalla Capitale.
Il Leone non è più il Re degli anni precedenti e i problemi fisici si fannon sentire con sempre maggiore insistenza. Il numero 33 sulle spalle è il segno escatologico del calvario di un campione che non riesce più a essere decisivo, ma che non non può fare a meno di entrare nel cuore di tutti i tifosi che hanno comprato un biglietto soltanto per ammirarlo in campo. Il bottino è troppo magro per un bomber come lui: appena due gol in 12 partite.
Gabriel Omar si ritira nel 2005 dopo due stagioni anonime in Qatar, firmando un contratto molto remunerativo con l'Al-Arabi di Doha.
La carriera di Batistuta in numeri (e gol)
Quando si parla di arte - e con Batistuta non si può fare altrimenti - non è elegante farne una questione di numeri e di titoli. Ma sono talmente esagerati che, no, vanno citati. Batigol è stato inserito nella FIFA 100, la lista dei 125 migliori giocatori al mondo stilata nel 2004 dalla FIFA in occasione del centenario della federazione. Anche la rivista World Soccer ha incoronato il Re Leone, dedicandogli la 23ª posizione nella speciale classifica dei migliori calciatori del XX secolo. Tra club, Nazionale maggiore e Nazionali giovanili, il nostro ero ha segnato la bellezza di 354 gol in 630 partite, alla media di 0,56 goni 90 minuti. Un mostro.
In nove anni di Fiorentina, il bomber argentino ha vinto una Coppa Italia e una Supercoppa italiana (1996). Con la Roma conquista nel 2001 il tanto rincorso Scudetto (la più grande amarezza sarà non averlo portato a Firenze, dirà in un'intervista anni dopo) e un'altra Supercoppa italiana. Ma è nella Nazionale argentina che Gabriel Omar ha brillato come (quasi) nessun altro prima e dopo di lui.
Con 54 gol è il secondo miglior realizzatore nella storia dell'Albiceleste e per vent'anni (dal 2002 al 2022) ha detenuto il record di reti segnate dalla Selección al Mondiale (10 gol), prima di venire superato da un signore qualsiasi: Lionel Messi. Con 152 reti è il miglior marcatore della Fiorentina in Serie A TIM e con 183 reti totali nel nostro campionato si colloca al 13º posto nella relativa classifica marcatori di tutti i tempi. Nella stagione 1994-1995 è andato a segno per 11 giornate di campionato consecutive, battendo un record stabilito in precedenza soltanto da Ezio Pascutti. Anche nella Capitale è diventato un'icona, entrando nel luglio 2015 nella Hall of Fame dell'A.S. Roma.
Da dove nasce l'esultanza della mitraglia
L'esultanza più iconica di Batistuta è senza dubbio quella della mitraglia. La scintilla di quello sparo nasce il 20 settembre 1998, nella gara di Serie A TIM contro il Vicenza. Il cannoniere argentino sale in cielo e insacca di testa. Ma il vero spettacolo è quello che offre subito dopo: si dirige verso la panchina viola dal massaggiatore e "mascotte" del club, Luciano Dati, per mettere in scena un copione scritto a quattro mani.
Qualche giorno prima, i due avevano escogitato un piano: "Se segni, fai finta di spararmi e io mi butto a terra", aveva detto Dati. Durante i Mondiali di Francia 98, Batistuta ha chiesto al massaggiatore fiorentino di seguirlo per prendersi cura delle sue malridotte caviglie. Il tutto in gran segreto. "Mi sentivo come 007, agente segreto in missione", ha raccontato il massaggiatore, che si fa stampare anche una maglietta a tema James Bond. L'idea della mitraglia prende concretamente forma in quell'occasione. Per restare ancora nell'immaginario collettivo a un quarto di secolo di distanza.