Se siete alla ricerca di un protagonista dell'estate 2023 per il calcio, fermatevi subito. Non c'è bisogno di guardare troppo in là o scovare chissà quale indicazione, l'attore principale è chiaro, enorme e visibile a tutti in tutta la sua ricchezza: l'Arabia Saudita.
Durante il Mondiale in Qatar fu Cristiano Ronaldo il primo a spalancare le porte di questo nuovo - vecchio - mondo calcistico, fatto di un campionato ancora non di livello ma tanti, tantissimi soldi.
La razzia in sede di calciomercato di grandi campioni alle squadre europee è però diventata evidente nella sessione estiva e sa da una parte c'è chi dice no (pochi, ma importanti come Lionel Messi e Luka Modric) dall'altra c'è la fila al Gate per imbarcarsi in direzione Arabia Saudita.
Da dove viene questa ritrovata voglia di calcio tra gli arabi? Ma soprattutto, qual è l'ambizione sportiva e non solo di tutto il movimento?
L'ambizione dell'Arabia Saudita nel calcio
Il nuovo boom del calcio in Arabia Saudita, più deciso rispetto a qualche anno fa quando non riuscì ad attrarre grandi nomi da portare nel deserto, è solo una parte dell'iceberg che si sta muovendo a quelle latitudini.
La volontà principale degli interpreti sauditi, che poi in buona parte fa riferimento al fondo statale PIF (Public Investment Fund), è quella di accrescere il valore del brand dell'Arabia Saudita nel settore dell'intrattenimento sportivo e non solo, con il traguardo di ottenere l'organizzazione - a suon di dollari - del Mondiale FIFA del 2030.
La riforma del principe Mohamed Bin Salman
Il progetto è ambizioso e non è partito con l'ingaggio di Cristiano Ronaldo, ma molto prima. Dal rapporto allacciato fuori dal campo con Lionel Messi alla volontà di far crescere il campionato locale ingaggiando i giocatori e gli allenatori più forti del mondo per aiutare la nazionale ad imporsi a livello internazionale.
Il principe saudita Mohamed Bin Salman ha studiato una riforma del calcio in Arabia Saudita con lo scopo preciso di trasformare il campionato saudita in uno dei più importanti al mondo. Un obiettivo ambizioso, ma assolutamente reale come l'hanno definito alcuni interpreti del mondo del calcio come la potente agente-avvocato Rafaela Pimenta.
Soldi del resto non ne mancano, pur con il rischio concreto di alterare in maniera irreparabile il calciomercato come lo conosciamo.
Cristiano Ronaldo ha indicato la via
Ad aprire la porta al calcio in Arabia Saudita è stato per primo Cristiano Ronaldo, lasciando il Manchester United - uno dei club più ricchi e famosi al mondo - nel bel mezzo della stagione per accettare lo stipendio extralarge recapitatogli dall'Al Nassr.
Quella che all'inizio, superficialmente, poteva sembrare una mossa di quelle già viste in passato tra i paesi arabi, Cina e Stati Uniti, ben presto è stata osservata sotto un'altra luce.
L'Arabia Saudita con il PIF fa sul serio e la dimostrazione è arrivata subito dopo: Benzema all'Al-Ittihad come Kanté, poi i tanti nomi accostati con decisione alle quattro squadre più potenti ovvero Al Nassr, Al Hilal e Al Ahly: Ziyech, Brozovic, Mahrez, Bernardo e Koulibaly per dirne qualcuno, ma anche qualche no come quelli di Messi e Modric.
Insomma, da quelle parti stanno puntando veramente in alto.
I campioni nel campionato saudita
Qualche vecchia conoscenza del calcio italiano che la scelta di Ronaldo, con altre cifre, c'è già. Giusto per fare qualche nome, stiamo parlando di:
- David Ospina
- Caicedo
- Banega
- Tello
- Quaison
- Bastos
Lionel Messi ambasciatore fuori dal campo
Il grande colpo mancato - e un duro stop a livello di immagine - se vogliamo è arrivato invece proprio dal primo calciatore che ha accettato di aiutare l'Arabia Saudita nella crescita del proprio brand sportivo e turistico: Lionel Messi.
La Pulce è ambasciatore del turismo dell'Arabia Saudita, pagato a suon di milioni per passare le vacanze in quello stato e pubblicare un numero preciso di post sui social - minimizzando la questione.
Sul campo però Messi ha detto no, rifiutando i 300 milioni di euro di ingaggio proposti per scegliere una nuova vita in MLS a Miami.
Sogno Mondiali
Negli ultimi anni e senza nemmeno nascondersi troppo, il governo dell'Arabia Saudita ha lavorato alacremente per guadagnare posizioni nella lista di gradimento e quindi possibilità di organizzare il Mondiale 2030 della FIFA.
Un lavoro enorme, fatto non solo di ingaggi milionari alle stelle del calcio mondiale, ma anche di iniziative per pubblicizzare il proprio Paese ospitando sempre più eventi sportivi stranieri come la Supercoppa spagnola e la futura Supercoppa italiana a quattro squadre.
L'obiettivo, chiaro fin da subito, è (o era, secondo le ultime indiscrezioni) quello di presentare una candidatura congiunta credibile ai vertici della Fifa, evitando le polemiche che sono scaturite per l'ultima assegnazione al Qatar, per il 2030 in collaborazione con Grecia ed Egitto.
La mole di lavoro da fare però è enorme e la possibilità di spostare il mirino sul 2034 è più che concreta. La decisione della FIFA sarà presa a settembre 2024.
Il rapporto con la Premier League
Attenzione però, perché non è tutto oro ciò che luccica.
Tantissimi addetti ai lavori si stanno ponendo delle domande su questo ingresso deciso dell'Arabia Saudita sul mercato internazionale del calcio, e non pochi hanno iniziato a storcere il naso.
Sottolineando il fatto che le parti fino a questo momento coinvolte nei vari affari milionari stanno lavorando nell'assoluta legalità sportiva ed economica, la potenza di fuoco sotto forma di ingaggi messi sul piatto dall'Arabia Saudita è destinata a drogare un mercato già in buona parte alterato dal dislivello economico tra le diverse società in ballo, basti pensare alla differenza di ricavi tra le formazioni di Premier League e quelle di Serie A TIM o Ligue 1.
Dopo l'ingresso negli anni passati di proprietà asiatiche in grandi club come Psg, Manchester City e via dicendo, ora c'è l'Arabia Saudita a recitare la parte del leone e spesso proprio avvalendosi di club inglesi. C'è un motivo.
Il ruolo del fondo PIF
Il fondo statale saudita PIF (Public Investment Fund), lo stesso che ha acquistato e gestisce il Newcastle avendolo riportato in Champions League dopo una vita, ha acquisito il 75% delle quote dei quattro club più seguiti della Saudi Pro League, non a caso quelle che stanno provando a saccheggiare i club europei con offerte folli.
Non solo. Molte società e addetti ai lavori inglesi hanno chiesto alla UEFA e alla FIFA di indagare sul rapporto tra questo fondo e il Chelsea, soprattutto in relazione ai possibili passaggi di giocatori Blues in Arabia Saudita che toglierebbero alla società inglese ingaggi pesantissimi di giocatori in esubero.
Questo perché PIF partecipa anche in un fondo che ha affiancato Todd Boehly nell'acquisizione del Chelsea da Abramovich.
La differenza con l'Italia
E l'Italia in questo scenario in che situazione è? Diciamolo subito, il grande riscatto avuto sul campo con tre squadre finaliste nelle tre coppe europee, non è andato di pari passo dal punto di vista economico dove la Premier League, ancora prima dell'intervento dell'Arabia Saudita, domina su tutti.
Negli ultimi anni la forbice tra il campionato più seguito al mondo, quello inglese, e la Serie A si è ampliata nel settore dei ricavi e con un effetto a cascata su tutti gli aspetti che dominano il modo di gestire un club di calcio.
I ricavi di un club di Premier sono aumentati del 30% negli ultimi 5 anni contro il 5% di quelli italiani, merito di partnership commerciali ricchissime e campagne di sponsorizzazione con cifre ben diverse dalle nostre, spesso più del doppio più alte.