“Non è per tutti”. Una frase che nel tempo abbiamo letto e ascoltato spesso, specialmente da chi gli ha voluto e gli vuole bene. A parlare erano, soprattutto, ex calciatori che con lui hanno condiviso più di una stagione. E va sottolineato il concetto temporale (più di una stagione), perché se non reggi certi ritmi puoi resistere qualche settimana al massimo. A volte anche meno. Gian Piero Gasperini è così, prendere o lasciare: la sua forza è anche questa, una mentalità chiara - che a Bergamo rispecchia quella del territorio - che si coniuga all’allenamento anche intenso. Passa tutto da lì, nasce tutto lì: dal campo, l’habitat naturale dove viene considerato un maestro.
Spesso le sue (tante) Atalanta hanno reso come se fossero dei diesel: si lavora tanto in estate, magari con l’arrivo delle prime gare ufficiali si accusa un po’ di fatica e capita che i risultati possano risentirne (vedi la partenza negativa del 2018-19, annata terminata con la prima, storica qualificazione in Champions League nella storia nerazzurra), ma da novembre-dicembre si inizia a volare. E quella benzina messa nelle gambe in ritiro inizia a servire. Anzi, a fare la differenza. La differenza, appunto: quella che a Zingonia ha fatto e sta facendo l’uomo di Grugliasco.
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LA STORIA DELLA DEA
All’Atalanta dal 14 giugno 2016, Gasp ha cambiato il modo di fare calcio negli anni a seguire. E non entriamo nel merito di schemi, moduli e aspetti tattici, meglio concentrarsi sulla mentalità che è riuscito a portare a Bergamo. Di conseguenza al calcio italiano. Ciò che ha fatto da allora, forse, è stato anche sottovalutato dall’ambiente esterno per via di un carattere talvolta non totalmente compreso: focoso in campo, magari anche con le parole, e preso di mira dalle tifoserie avversarie anche a priori (il mondo dei social…). A tutto ciò non ha mai dato molta importanza. D’altronde lui è così, vive il momento senza preoccuparsi di telecamere e riflettori.
Si mostra per ciò che è, nel bene (toccante il passaggio dell’intervista con Radio Serie A in cui parla del “suo” Ilicic) e nel male. Pure con i calciatori: “Il mio rapporto con loro è professionale”, ha spesso ripetuto. Un’idea che ha pagato e sta pagando, compresa da quei giocatori che sono rimasti e che con il mister hanno contribuito a rendere la Dea un’eccellenza della Serie A. Una realtà che storicamente ha sempre lottato per la salvezza e che nel recente passato si è ritrovata a sfidare i più grandi club in Champions, a giocarsi l’Europa League e a rimanere lassù in classifica in campionato con continuità, dando anche spettacolo.
PLUSVALENZE DA RECORD
"Si va in campo per cercare il risultato, vietato snaturarsi”: Gasperini ha sempre ragionato seguendo questa linea, al netto della tattica. Ha cercato di insegnarlo ai giocatori dal primo giorno, dalla stagione 2016-17 (la sua prima in nerazzurro, quarto posto finale) fino a oggi. E conta relativamente se gli interpreti siano via via cambiati, chi arriva a Bergamo sa quello che trova e ciò che deve affrontare dal punto di vista atletico e mentale: chi regge, resta e fa la differenza. Altrimenti, grazie e arrivederci. E gli esempi di Skrtel e Kjaer, meteore a Zingonia nonostante un cv importante, lo confermano. Con Gasp devi avere fame, se hai la pancia piena fallisci. Se poi hai un certo appetito, essendo inoltre giovane, il gioco è fatto: con i talenti si dice sia tra i migliori in assoluto. D’altronde, un’altra delle sue frasi più celebri, è questa: “Quando arrivai all’Atalanta il presidente mi chiese di formare una squadra il più possibile italiana, valorizzando i nostri ragazzi. Risposi: ‘Pres, ci sono già. Sono delle pepite preziose, basta togliere un po’ di polvere’. E di polvere, anno dopo anno, ne ha tolta parecchia facendo guadagnare tantissimo denaro alla società con delle plusvalenze clamorose: da record quella di Kulusevski, acquistato nel 2016 dagli svedesi dell’IF Brommapojkarna per 165.000€ e ceduto alla Juventus nel gennaio 2020 per 35 milioni più 9 di bonus.
La lista, però, è lunghissima. Qualche esempio, in ordine di incasso: Hojlund al Manchester United (75 milioni), Romero al Tottenham (50), appunto Kulusevski alla Juve, Kessié al Milan (32), Bastoni e Gosens all’Inter (31 e 27), Conti al Milan (24), Cristante alla Roma (22), Diallo allo United (21,3) e Mancini alla Roma (21). Poi i vari Castagne, Gagliardini, Demiral e Caldara. Insomma, niente male.
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DOMANDE ED ENTUSIASMO
La carriera di Gasperini si è sviluppata soprattutto tra Genoa e Atalanta, anche se l’inizio porta a Torino, alla Juventus: lì imparò il mestiere nel settore giovanile. Poi le esperienze con Crotone (2003-2006) e Palermo (2012-13), in mezzo l’Inter quando fu scelto dal presidente Massimo Moratti nell’estate 2011 con un contratto biennale. Una parentesi (arrivò poi Claudio Ranieri), Gasperini ripete che “non ci fu nemmeno il tempo di iniziare”. “Colpa” della difesa a tre, il credo tattico che a Milano non venne capito e che oggi, a distanza di 12 anni, utilizzano molte importanti squadre europee.
I critici ripetono: “Perché una big non l’ha più chiamato?”. Domanda anche lecita, anche se Gasp ha saputo ripartire e vincere (con gli interessi) con l’Atalanta. D’Altronde, un’altra (lecita) domanda può essere questa: “È più difficile vincere lo Scudetto con Juventus, Milan o Inter o portare l’Atalanta a un passo dalle semifinali di Champions League?”. A ognuno la propria risposta. Nel frattempo, la Dea continua a godersi il maestro. Un maestro che – parole sue – andrà avanti ad allenare finché avrà questo enorme entusiasmo. E piaccia o meno, al calcio italiano uno come Gasperini servirà sempre.