Perché il Giro d’Italia parte dall’Ungheria? Perché la Corsa Rosa risponde con successo da molti anni - diversamente da quanto spesso recepito, sarà la quattordicesima volta dal 1965, l’ottava dei Duemila - alla globalizzazione del ciclismo, a un bisogno sempre più internazionale di cultura sportiva. Perché è un prodotto vendibile e non c’è niente di male, anzi, il Tour de France fa da inarrivabile modello commerciale e quest’anno per la prima volta tutti i Grandi Giri partiranno dall’estero: la Grande Boucle da Copenhagen e la Vuelta da Utrecht, city marketing di paesi senza confini.
Il rapporto fra la Corsa Rosa e l’estero segue dinamiche bilaterali: se parte dal Belgio (prima volta da Verviers nel 1973), dalla Danimarca o dall’Olanda, dove il ciclismo è una specie di liturgia laica, è per imparare l’aderenza civile della bici come funzione logica, proprietà esistenziale dei “cittadini pedalanti”. Se parte da paesi come Israele, se la sua media company è la stessa che organizza l’UAE Tour in Arabia, è per esportare il ciclismo sui nuovi mercati. Perché nessun altro sport si svela più facilmente, permettendo al suo pubblico una vicinanza così fisica e identitaria con gli atleti, con l’evento vivo e cutaneo.
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Giro d'Italia, Bike economy e Sportswashing
Ecco, la Grande Partenza di Budapest è una sintesi di ragioni sociali - in città ci sono 300 chilometri di piste ciclabili e la via del Danubio, che collega la Germania, Vienna e Belgrado all’Ungheria, è la rotta più amata in Europa dai cicloturisti - e interessi commerciali del Made in Italy in uno stato non più sprovvisto di ciclismo (si corre da quarant’anni), ma ancora laterale nel World Tour, senza aver mai ospitato un’edizione mondiale o europea o prodotto campioni su strada, eccezion fatte per il buon cronoman Laszlo Bodrogi o il giovane Attila Valter, che proprio al Giro dell’anno scorso ha vestito per tre tappe la maglia rosa (14° finale).
Diciamo che nel caso magiaro c'entra pure quel controverso fenomeno che i bravi chiamano Sportswashing e che anche qui, malgrado un nuovo nome, risale almeno al Rumble in The Jungle nello Zaire del dittatore Mobutu. Dai Giochi Olimpici di Pechino 2022 nella Cina che stermina gli uiguri e sottomette i tibetani, ai prossimi Mondiali di calcio in Qatar, dove l’omosessualità è ufficialmente proibita, lo Sportswashing mette il fondotinta ai Paesi con una cattiva immagine e una fama peggiore, che ospitano o finanziano eventi sportivi in modo più o meno sfacciato per ripulire la loro immagine pubblica sulla scena internazionale.
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Visegrad, sul bel Danubio rosa
E nel corso di quest’anno sportivo così politicizzato, tocca all’Ungheria sovranista, autocratica, reazionaria, euro- e omofobica, attualmente putiniana nelle vesti di Viktor Orban - che pure è appena stato rieletto al suo quarto premierato, oggi omaggiato dal Giro con un traguardo volante a Székesfehérvár sua città natale - darsi un tono festoso. L’unica buona notizia è che, rinviata di due anni causa pandemia, la Grande Partenza di Budapest può dirsi un lieto ritorno alla normalità del pubblico sportivo, qui gremito in Piazza degli Eroi. Così parliamo finalmente di ciclismo, con le scuse di chi scrive per essersi altrove dilungato.
Cronache Rosa è una rubrica e scopriremo insieme i risvolti di questo 105° Giro d’Italia fin dai suoi primi giorni magiari. Non parliamo ora di percorso e favoriti, ma solo di chi ha vinto la prima tappa sullo strappo finale di Visegrad, antico borgo sull’ansa danubiana. Cinquemila metri classici e durissimi, di quelli che si fanno in piedi sui pedali stremando i velocisti tranne uno, Caeleb Ewan caduto a contatto con Girmay all'ultima curva. Traguardi regali che infiammano e respingono chi dice che al Giro non ci vanno i campioni, celebrando un fuoriclasse in maglia rosa.
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Una maglia rosa per la famiglia reale
Alla corte del castello di Visegrad - dove nel Medioevo s'allearono i sovrani Carlo I d'Ungheria, Casimiro III di Polonia e Giovanni I di Boemia - Mathieu van der Poel espande il regno della famiglia reale di nonno Poulidor - vincitore di 7 tappe al Tour de France, Vuelta di Spagna e Milano-Sanremo - e papà Adrie campione delle Fiandre e della Liegi-Bastogne-Liegi: un principe fiammingo che a ventisette anni ha già vinto 6 Mondiali di ciclocross, 2 Fiandre, Freccia del Brabante, Amstel Gold Race e che oggi, dopo la maglia gialla, si tinge di rosa. Nel dorato novero di chi l'ha fatto al debutto sia alla Grande Boucle che al Giro, ci sono Coppi, Anquetil, Hinault, Fignon.
Polvere nel vento e polvere di stelle: dalla Strade Bianche al Giro e prima iridato juniores ai Mondiali di Firenze 2013, l'Italia bacia van der Poel sul bel Danubio rosa. La prima tappa l'ha vinta di pura forza, sfilando Girmay negli ultimi metri di un'arrivo subito e davvero spettacolare. Dice che se finirà il Giro, sarà un uomo migliore e intanto ne è il leader: prima benedetto, oggi fattivo. Oro colato da un corridore dell'altro pianeta. Che sia lui a portar la maglia rosa sulle strade lunari dell'Etna.