È stato un lungo viaggio, dall’Etna a Verona e su e giù per le montagne. Tremila chilometri dalla Grande Partenza di Budapest all’ultimo traguardo a cronometro e una grande montagna, la Marmolada, che consacra Jai Hindley primo campione australiano del Giro d’Italia.
E forse non sarà stata un’edizione indimenticabile, ma alla fine due luoghi comuni del ciclismo moderno sono stati respinti. Uno, che non succede più niente sulle Alpi, perché anche se abbiam dovuto aspettare l’ultima salita, è lì che Hindley ha seminato Carapaz scattandogli davanti, come da grande tradizione.
Due, che i Grandi Giri ormai si decidono a cronometro e invece meno male che Hindley non ne ha perso un altro contro il tempo, come nel 2020 per pedale di Tao Geoghegan Hart nella gotica Milano. Invece l’ha vinto perché lo meritava di più, primo sul Bockhaus e più propositivo di Carapaz, che sperava di mettere la maglia rosa in conserva, da attendista, come spesso accade ai capitani della sua Ineos Grenadiers (ex-Team Sky).
È un bel tipo, Jai Hindley. Ha ventisei anni, è nato a Perth e pedala fin da piccolo, anche se gli piaceva di più nuotare… E specialmente giocare a rugby. Come biasimarlo a quelle latitudini, di fatto papà Gordon gli ha teso una bella trappola quando, a quindici anni, l’ha portato in camper al Tour de France: «In montagna, giunti vicino all’arrivo di tappa, staccavamo le bici e ci arrampicavamo verso il traguardo, aspettando la corsa. Ero sicuro che Jai non avrebbe lasciato la bici mai più». E poi quel Tour lo vinse Cadel Evans, il miglior corridore australiano.
Dell’Italia resteranno il Giro d’addio di Vincenzo Nibali, che dalla sua Messina ha annunciato il ritiro a fine anno. Resterà la voglia intatta d’un trentanovenne di pedalare all’insù per sentirsi Pozzovivo. Reteranno le cinque tappe vinte da Alberto Dainese in volata (Reggio Emilia), da Stefano Oldani in fuga (Genova), da Giulio Ciccone e Alessandro Covi a Cogne e sul Passo Fedaia: chi doveva essere l’erede di Nibali e chi forse lo sarà per davvero. Infine Matteo Sobrero a cronometro in maglia Tricolore: un altro giovane, un altro che di strada ne farà.
E poi niente: pedalando al contrario, il migliore del Giro è stato chi ha messo la prima maglia rosa e l’ha portata dall’Ungheria all’Italia. Così, non potendo vincere la corsa, Mathieu van der Poel ha dato spettacolo sempre e comunque: facendo le volate, scattando in salita, ma soprattutto divertendosi senza grandi aspettative. Anzi sì, perché a Budapest disse che finendo il Giro sarebbe stato un uomo migliore e oggi lo è. E ieri all’Arena di Verona, accolto da un boato che si riserva alle star, è entrato pedalando su una ruota sola. Come al Mortirolo. Come un MVP. Ah no, come MVDP.
Getty