Ci si aspettava che Filippo Ganna portasse la maglia gialla in Francia, eppure è stata una Grand Départ danese anche per chi ha Mameli che ruggisce dentro. Anche per chi s’ostina a paragonarlo al Giro d’Italia, geloso e inconsolabile, che la nostra corsa è più spettacolare e le salite son più belle e di là non succede mai niente, eccetera eccetera.
Di fatto, le prime tre tappe del Tour de France hanno offerto storie notevoli quando Yves Lampaert, «solo il figlio d’un contadino fiammingo», ha vinto la crono di Copenhagen partendo fra i gregari per la prima maglia gialla.
Quando Fabio Jakobsen, a due anni dall’estrema unzione di Katowice, ha vinto la sua prima volata al Tour de France.
Quando il giorno dopo è stato Dylan Groenewegen - che in Polonia a ottanta all’ora spinse Jakobsen oltre le transenne mandandolo in coma, cancellandogli il volto, distruggendogli il corpo - a battere Van Aert al fotofinish per tre centimetri di reni.
Due destini uniti, due vite che ripartono a tutta velocità. Due sprinter fortissimi che si dividono la strada e si marcano a distanza, costretti a farlo per eccellere nel loro dannato mestiere. Fabio il «miracolato felice»; Dylan il cattivo redento.
Affrancato da nove mesi di squalifica per aver quasi ammazzato Jakobsen con una gomitata, mai più gradito in Olanda e riaccolto dalla squadra australiana BikeExchange. Ieri ha vinto la volata di Sønderborg raccogliendosi a terra, circondato dai compagni: la testa bassa e le mani fra una macchia di pensieri tristi e felici. Ha appena vinto una tappa al Tour de France e molti gli danno del criminale a pedali.
Ha pianto, ha promesso d'essere «molto felice per Fabio e credo che la sua vittoria mi abbia aiutato a sbloccarmi dopo un incidente che mi ha segnato nel profondo». Segni psichici, meno profondi di quelli che hanno squarciato Jakobsen, ricucito da centotrenta punti di sutura al volto, ricostruito con un trapianto osseo.
Prima d'essere il cattivo, Groenewegen è stato un enorme talento del ciclismo veloce e quella di ieri è stata la sua quinta tappa vinta al Tour de France. Fabio dice «Buon per lui, prima dell’incidente l’ammiravo e m’ispiravo alle sue volate. Ora è solo uno un avversario, l’ammirazione è scomparsa». E chi lo biasima, è un bugiardo.
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Che i due non porgano l’altra guancia e nemmeno l’altro gomito. In corsa non si guardano, nella vita non si parlano per ragioni legali, perché Groenewegen non avrebbe mai ammesso la sua colpa per evitare all’assicurazione, citata in una causa civile, un risarcimento a Jakobsen e la sua famiglia.
Redento in strada su un traguardo della corsa più famosa del mondo, la notizia di una sparatoria in un centro commerciale di Copenhagen, con molti morti e feriti, ha raggiunto il Tour in partenza per Dunkerque.
Così L’Équipe ha scritto che «Con il cuore pesante abbiam varcato il confine con la Germania ieri sera, sotto la pioggia, tristi di lasciare dietro di noi i danesi con questa tragedia, quando ci avevano abbracciato per quasi una settimana con il loro fervore. Ci sentiamo un po' sciocchi a scriverlo, ma è un promemoria del fatto che bisogna godersi i momenti di piacere, quando arrivano».
Vero, perché il Tour in Danimarca era stato stupendo.