Lussemburghese quasi trentenne, Bob Jungels s’era un po’ perso per le strade del ciclismo dopo aver vestito la maglia rosa nel 2016, scalato per primo Bergamo Alta nel 2017 e vinto due maglie bianche del Giro d’Italia, ma specialmente trionfato alla Liegi-Bastogne-Liegi del 2018.
Ha vissuto due anni tremendi per un’endofibrosi delle arterie, venuto al Tour de France per riscattarli. Per questo s’è messo in fuga d’una tappa, la nona, partita dalla Svizzera con tremila metri di dislivello prima del traguardo di Châtel les portes du Soleil. Una domenica bestiale che Jungels comanda dalla cima del Col de la Croix, a oltre sessanta chilometri dall’arrivo quando Geschke, che è la nuova maglia a pois, si rialza esaudito mentre Thibaut Pinot, idolatrato da due ali di folla, manca la rimonta di pochi secondi.
Jungels vince in solitaria perché gli piace così. A undici anni dall’ultima tappa vinta da Andy Schleck, il grande lussembrughese del ciclismo - grande rivale di Armstrong e vincitore del Tour nel 2010 per squalifica di Contador - la sua corsa era iniziata fra molte polemiche da positivo al covid-19, ma con una carica virale sufficientemente bassa per decisione dei medici dell’UCI, del suo team francese (l’AG2R) e del Tour.
Chi torna invece a casa in treno è il normanno Guillaume Martin, autodenunciatosi dopo tre tamponi positivi non obbligatori: «Lascio il Tour e vado a casa a occuparmi dei miei asini: a loro, almeno, sono certo di non poter trasmettere il covid».
Ieri a Châtel, tutti i corridori della Grande Boucle si sono infilati in una tenda bianca per sottoporsi ai tamponi molecolari ufficiali. Oggi è un giorno di riposo. Domattina a Morzine, da dove partirà una tappa durissima sulle Alpi dell’Alta Savoia, saranno resi noti gli eventuali nomi dei positivi-contagiosi. Un vero incubo.