Si può dire che Mads Pedersen, venticinquenne danese dell’isola di Zelanda, sia un corridore molto sottovalutato? Si può urlare, perché quando fu campione del mondo in Yorkshire, nel 2019, si discusse solo di Trentin secondo. Perché ora che ha vinto la sua prima tappa al Tour de France, però Ganna in fuga…
Pedersen però è stato secondo al suo primo Fiandre (2018), ha vinto la Gent-Wevelgem in maglia iridata e già 6 corse quest’anno, compresa una tappa della Parigi-Nizza, con un sesto posto alla Milano-Sanremo e un ottavo alla Ronde. Di fatto, quando vince lui è sempre “per colpa” di qualcun altro: di Trentin tremante di freddo sul traguardo iridato, di Ganna che cerca in tasca da magiare mentre Pedersen scatta all’arrivo di Saint-Étienne. Ma almeno al Tour, il danese ha sfatato quella seccante diceria che lo vuole favorito dalla pioggia, visto che ieri l’Occitania era una fornace.
Ha vinto anche “per colpa” dei velocisti? No, ha vinto perché gente come lui, come Van der Poel, come Van Aert, sprintano forte, scattano sul ripido, tengono la ruota in salita, sono mutevoli, dotati e sportivamente pensanti, ma specialmente si mettono in fuga e se accade, niente volata per quegli sprinter puri dispersi e in via d'estinzione. Per esempio, ieri Ewan è caduto rischiando la squalifica per rientrare in scia prolungata e solo Jakobsen ha stretto i denti, mentre Sagan e Groenewegen si son staccati sui “docili” pendii occitani.
Così il Tour partito da Copenhagen è sempre più danese, da Magnus Cort-Nielsen vincitore a Megève, a Jonas Vingegaard in maglia gialla sul Col du Granon: una tappa di cui si parlerà per molti anni. Non accadrà a Mads Pedersen e ci risiamo, ma tanto per lui ce ne saranno molte altre.