Peyragudes è la vetta d’una strana felicità. Per Pogacar, che vince il tappone del Col d’Aspin, ma con Vingegaard incollato a ruota. Per la maglia gialla che non molla, fiutando il sangue del nemico fino all’ultimo metro.
Tappa a Tadej, maglia salda sulle spalle di Jonas dopo la seconda brace pirenaica, prima dell’ultimo arrivo in salita e di una lunga crono che porta verso i Campi Elisi. Pogacar lascia sui monti Rafal Majka, ma è scortato fino al traguardo da Brandon McNulty. Vingegaard non ha più Roglic e Kruijswijk, ma si tiene stretto Sepp Kuus come Nibali faceva con Michele Scarponi: loro che son veterani di fatiche, uomini speciali, guardie del corpo, angeli in bicicletta lassù, dove osano le aquile.
Non è finita finché non è finita. Non è finita finché il leader non brinderà con lo champagne sul tappeto giallo che porta sotto l’Arc de Triomphe. Non è finita per Tadej Pogacar che sì, va detto che è il fuoriclasse in maglia bianca di questa Grande Boucle al terzo successo di tappa, nono in tre Tour, 13 vittorie stagionali, 43 in carriera. Ventitré anni, cento di questi giorni.
Non è finita per Jonas Vingegaard che cerchia di giallo il Col d’Aspin, l'Hourquette d'Ancizan, il Col de Val Louron-Azet e la lunga e tortuosa strada verso Peyragudes, ma domani c’è un altro girone. C’è la sacra partenza da Lourdes di una tappa profana, nel senso di un’altra frazione rovente, infernale, fra i tornanti che portano sul Col d’Aubisque, il Col de Spandelles e la salita finale, l’ultima, di Hautacam.
Gilbert Farewell Tour
L'ultima fatica della carriera di Philippe Gilbert, il signore delle Classiche che al Tour se l'è anche vista molto peggio di così, quando nel 2018 si ruppe la rotula sui Pirenei, cadendo in discesa dal Portet d’Aspet e molti pensarono che oltre quel muretto fosse finita una grande carriera. Invece Gilbert è fatto di un’altra sostanza, elegante e durevole, e quel giorno si rimise in strada e strinse i denti fino all’arrivo sul Portet. Nove mesi dopo ha vinto la Parigi-Roubaix da campione infinito, maestro delle Classiche, vincitore di tutti i Monumenti del Nord oltre a due Lombardia. Capace di prendersi tutto in un anno - nel 2011, compresa la tappa della prima maglia gialla al Tour de France - sulle sue Ardenne, di vincere anche un Mondiale sul suo Cauberg, di unire fiamminghi e valloni su tutti i traguardi della chiesa del ciclismo.
Getty
Un corridore magnifico e unico che sta salutando la Grande Boucle compiuti quarant'anni per strada, da Dunkerque a Calais, quando lo scorso 5 luglio il Tour è tornato a casa: «Sulle Alpi avevo dolori dappertutto, le gambe mi bruciavano, non mi sentivo bene, mi sono girato e ho visto che c'erano molti intorno a me nelle stesse condizioni. Era una situazione estrema. Avevo già corso una tappa al California con 53 gradi sul termometro e tre corridori erano finiti in ospedale per un malessere sull'ultima salita. Quelli caduti sull'asfalto, hanno riportato ustioni di secondo grado. Questa è stata un'altra giornata tragica, come alla Strade Bianche di due anni fa quando la corremmo in agosto, con 42 gradi nella polvere». E vinse Wout van Aert per molti suo erede naturale.
Getty
Ripartiamo da altre vette d’una strana felicità per chi alzerà le braccia su un altro durissimo traguardo pirenaico. Altri picchi di gloria per chi, in fondo alla Grande Boucle, ringrazierà la sua vita in maglia gialla.