È stata una montagna dimenticata a dare al Tour de France delle nette risposte, ma specialmente a offrire uno dei migliori spettacoli di ciclismo moderno dopo molte salite di logoramento imposte dalle ammiraglie, dagli eserciti neri del vecchio Team Sky, dalla noiosa prassi del “solo all’ultima tappa”. Come all'ultimo sfinito Giro d'Italia.
È stato il Col du Granon col suo nome duro a rovesciare un Tour che sembrava già scritto prima delle salite, forse mai iniziato sotto i primi colpi del generale Pogacar a Longwy e sulla Planche des Belles Filles. Per chi suonava la sirena e per oggi chi suona la campana.
Cancellato dalle mappe della Grande Boucle dopo il crollo di Hinault, che nel 1986 cedette la maglia gialla a Greg LeMond, il mostro Granon ha inghiottito l’invincibile Pogacar in un abisso di caldo feroce. Forse sfiancato da una dozzina di attacchi incrociati che Roglic e Vingegaard gli hanno teso fra il Telegraphe e il mitico Galibier, Tadej non ha mai concesso un metro, s’è sempre alzato sui pedali con una purezza che pareva disarmante, invece a 4,8 chilometri dalla vetta del Granon, Pogacar ha sbarrato gli occhi e stretto i denti, sfuocando all’orizzonte mentre Vingegaard si librava sui tornanti, carezzando il pensiero stupendo di mettersi la maglia gialla.
La risposta è sua, del venticinquenne danese che voleva una rivincita perché proprio se la meritava. Lui che da ragazzo campeggiava in vacanza a Bourg-Saint-Maurice tutti i mesi di luglio, scalando per la prima volta a quindici anni il Galibier, il Glandon e l’Alpe d’Huez. Papà Klaus lavora in Norvegia negli allevamenti di salmoni e per due anni il giovane Jonas ha pesato il pesce nel porto Hanstholm, una vera perla del Nord, dalle sei del mattino fino a mezzogiorno: annotandosi qualità, peso e importo prima di andare a venderlo all'asta.
La risposta è della sua Jumbo-Visma troppo spesso accusata di sprecare dalle stanze dei bottoni il talento messo in strada. Invece il maestro van Aert è scattato in fuga (con van der Poel!) al chilometro 1 per farsi trovare ancora là davanti, con Laporte, sul Galibier, mentre Benoot tirava come un dannato e Kruijswijk e Kuss facevano le iene, preparavano il terreno, fiutavano il sangue di Pogacar.
La risposta è forte e chiara contro il campione disumano degli ultimi due Tour, spossato da spettri di covid che l'han lasciato con mezza squadra. Dicono i maligni che “ha fatto troppo il figo” nella prima settimana di corsa, sprecando energie per mettersi in volata o scattare per gli abbuoni, per entrare nella mente degli umani avversari. Certe ragioni del relitto giallo che ieri, nel mare mosso del Granon, è stato affondato dai vari Bardet, Thomas, Gaudu e Yates, paiono proprio più profonde di così.
Ma la migliore delle notizie è che siamo a metà Tour e il bello per chi non pedala è che oggi, tra i vapori del caldo e le vertigini della natura, ci sono stelle in cielo e biciclette sull’Alpe d’Huez.