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Collina: "Quando arbitravo, avrei voluto il VAR"

Redazione
Collina: "Quando arbitravo, avrei voluto il VAR"Getty

Pierluigi Collina in tutto il mondo è sinonimo di "arbitro". Anzi, è "l'arbitro" per eccellenza. Ospite del Festival dello Sport di Trento, giunto alla sua quinta edizione, l'attuale presidente della commissione arbitri della FIFA ha detto la sua su alcuni dei temi caldi della tecnologia al servizio dei direttori di gara. A cominciare dal tanto discusso VAR, esaltato e condannato a fasi alterne.

"Avrei voluto averlo io il VAR"

"L'uomo per sua natura non è infallibile, per cui avere un salvagente quando serve sicuramente è importante", afferma Collina. "Quando ho sbagliato, a quel tempo quando arbitravo, avrei voluto avere a disposizione uno strumento del genere. Per me stesso e per chi era coinvolto in campo".

"Sono diventato arbitro per caso"

L'ex arbitro della Serie A TIM racconta di come ha intrapreso la carriera di direttore di gara calcistico. "Lo sono diventato per caso. Un mio compagno del liceo mi invitò ad un corso per direttori di gara. Avevo 17 anni, ma andai giusto per fare una esperienza diversa. Senza aspettative, senza ambizioni. Poi andò diversamente, perché probabilmente nel mio DNA c'era qualcosa. A me piace molto la sfida, sono molto competitivo non mi piace partecipare. Voglio fare le cose fatte bene e questo senso di sfida ed amore verso le cose non banali mi ha spinto ad andare avanti nel mondo arbitrale. Auguro a tutti i giovani che fanno questo lavoro di arrivare il più lontano possibile".

"L'arbitro è tifoso e prova paura come tutti"

Fare l'arbitro, per Collina, "è una bellissima esperienza che finirà per segnare in positivo anche la vita di tutti giorni". Nella vita "bisogna infatti prendere tante decisioni, e anche l'arbitro deve farlo. Si impara sin da subito ad assumersi responsabilità e prendere decisioni. Per arbitrare ci vuole amore per il calcio logicamente. È chiaro che anche un arbitro può tifare per una squadra. Ci sarebbe da preoccuparsi se non fosse così, è una cosa normale. Poi in campo esce la professionalità e si tifa per se stesso".

La paura? "A determinati livelli non deve esserci, ci vuole solo senso di grande responsabilità. Oggi con la tecnologia il rischio di fare errori si è attenuato, prima invece potevi giocarti una carriera se sbagliavi in un big match. La paura vera o più che altro senso di impotenza l'avverti quando arbitri i più giovani e vedi fuori i genitori che non capiscono il momento ed hanno atteggiamenti che con lo sport non hanno nulla a che fare".