Le prime due gare stagionali hanno delineato in modo chiaro il livello di competitività delle monoposto, ponendo al vertice, come punto di riferimento assoluto, la Red Bull RB20 ultima creatura di Adrian Newey & Co. La monoposto di Verstappen è al top sia per l’approccio totalmente innovativo del progetto - che ha fatto apparire immediatamente “vecchie” le vetture rivali - sia per le prestazioni superiori alla concorrenza. Ciò nonostante, tra le monoposto “terrestri”, spicca come unico effettivo caso di incremento prestazionale la Ferrari SF-24, realizzata dallo staff diretto da Enrico Cardile a livello telaistico, Diego Tondi per quanto riguarda la supervisione del progetto aerodinamico e, ultimo ma non ultimo, Enrico Gualtieri per la power unit. Il dato decisamente rilevante e confortante riguarda l’equilibrio aerodinamico e dinamico della monoposto della Scuderia, che seguendo un concetto diverso dalla SF-23 a partire dal telaio completamente ripensato, ha raggiunto sia una diversa distribuzione del carico aerodinamico sia di bilanciamento dinamico. Infatti, pur mantenendo inalterati gli schemi sospensivi, con il push rod all’avantreno e il pull rod al retrotreno, le geometrie sono state perfezionate, consentendo alla SF-24 di diventare una piattaforma stabile e funzionale.
Queste le caratteristiche positive, che fanno della Ferrari 2024 una base valida da cui partire con un processo di sviluppo coerente, nel corso della stagione. Gli sviluppi, infatti, dovranno cercare di ridurre il gap, comunque rilevante, tra i quattro decimi e il mezzo secondo che attualmente separa la SF-24 dalla RB20. A Jeddah è emerso in modo tangibile il problema del surriscaldamento degli pneumatici, ovvero della lentezza nel raggiungerne le temperature di esercizio ideali. Alla base, pur constatando l’ottimo bilanciamento della vettura, la necessità emersa di percorrere due giri per entrare nella finestra termica ideale, indica che il carico complessivo della vettura non era sufficiente a indurre abbastanza energia sugli pneumatici. In sostanza, mancava carico. Ma, occorre precisare, nella specifica configurazione adottata sul tracciato arabo e con le caratteristiche di quella pista.
Una realtà, peraltro, immediatamente colta dai tecnici di Maranello, che avevano optato per adottare un’ala posteriore meno scarica tra le versioni disponibili, a livello del profilo principale con una beam wing per contro caratterizzata da un singolo profilo. In sostanza un mix, che avrebbe dovuto risultare efficace in rettilineo e garantire trazione in uscita di curva (ma così non è stato). Insomma, se il concetto generale della monoposto, la direzione scelta dai tecnici diretti da Enrico Cardile, è assolutamente da promuovere (e dimostra che la fiducia accordata da Fred Vasseur allo staff tecnico di Maranello è assolutamente ben riposta), ora è necessario colmare quelle lacune ancora presenti con i primi pacchetti evolutivi. Il processo di sviluppo, di cui sono già stati programmati in modo preciso gli step, poggia su una base “sana”; quindi, la direzione corretta da intraprendere può sin da ora essere chiara, e non è cosa da poco.
Fonte: Gazzetta.it