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Gianmarco Tamberi: dalla paura all'oro olimpico, è una delle storie più belle di Tokyo2020

Gianmarco Tamberi: dalla paura all'oro olimpico, è una delle storie più belle di Tokyo2020DAZN
Cinque anni prima delle Olimpiadi, il record olimpico e l'infortunio alla caviglia che gli preclude i Giochi di Rio. La rincorsa verso Tokyo è stata durissima

Il primo pensiero dopo l’ultimo salto delle qualiicazioni? “Ho fatto schifo”. Gianmarco Tamberi, detto Gimbo, ieri era un nuvolone grigio di sensazioni, all’orizzonte un po’ di bianco e persino il blu della speranza. Ha tirato un sospiro di sollievo: con il 2.28, dopo un errore, si è infilato nel gruppetto dei finalisti e si è dato una nuova occasione di brillare e di farlo senza permettere alla sua testa di lasciarsi aggrappare dai cattivi pensieri.

Non è stato facile. Ed è stato bellissimo. In particolare per Gimbo, che attendeva da cinque e lunghissimi anni questo momento. Naturale che fosse così carico, così duro anche con se stesso. Nel percorso di ogni giorno, Tamberi ha costruito su di sé aspettative enormi , ben più di quanto accumulato dai tifosi, appassionati, addetti ai lavori. E lui lo sa, lo sa benissimo: l’infortunio del 2016 l’ha privato ben più di un’Olimpiade. Era una medaglia certa. Una casa costruita dalle fondamenta fino al tetto olimpico. Oggi è un sopravvissuto a un uragano. Quattro mura si ricostruiscono dopo poco tempo, il trauma va metabolizzato con calma. Ecco perché l'oro conquistato a Tokyo, ex aequo con Barshim, è la storia più bella di queste Olimpiadi.

Tamberi: il primo salto, quello verso il professionismo

Il dolore non sparirà mai del tutto. Ma nei Giochi della fragilità, con il volto di Simone Biles drammaticamente fresco, con i colpi di Osaka lentamente spenti sotto il peso delle aspettative, la storia di Gimbo è diventata persino una traccia di speranza. Un solco di resilienza. Una questione di forza mentale spaventosa, perché spaventosa è stata la caduta. Non la prima.

Prima c’è stato infatti un altro Gianmarco. Maturato dopo le liti con papà Marco, olimpionico a Mosca ’80 e suo allenatore. Raccoltosi dopo la decisione di mollare e dedicarsi al basket. Tornato sui propri passi senza mai darlo per scontato: Tamberi ha dovuto cambiare abitudini, allungare la lista di responsabilità per tornare in pista nella corsa a superare se stesso. Diciott’anni è avere dentro un mare in tempesta: da una parte, l’onda di ciò che è stato; dall’altra, la curiosità di guardare oltre, verso ciò che dovrai essere.

Mettiamola così: Tamberi non ha surfato. Anche qui, ha inarcato la schiena e pregato che lo slancio fosse deciso abbastanza, che tutte le briciole d’inconsapevolezza le avrebbe aspirate via il tempo. Giorno dopo giorno, si è migliorato e si è scusato; fino a diventare l’uomo dalla barba a metà, storia che ancora oggi racconta e molto divertito. Nasce da un consiglio di suo padre: per curvare per bene nella rincorsa – sostiene – Gimbo dovrebbe tagliarsi la barba solo da una parte. Il viso diventerebbe più pesante su una guancia e l’inclinazione sarebbe stata superiore. Chiaramente scherza. Ma avrebbe dovuto sapere che suo figlio, per arrivare più in alto di tutti, sarebbe stato disposto persino a tingersela di viola. In ogni caso, nell'incredulità generale, riesce pure a guadagnare 11 centimetri.

Più in alto di tutti, fino all’infortunio

Undici centimetri che nel salto in alto sono differenze d’ambizione: dai campionati italiani, Tamberi inizia a immaginarsi in un contesto grande, e sempre più grande, fino a diventare enorme come un’Olimpiade. Del resto, è il 2016 e tutto va come avrebbe solo sognato che andasse: vince il titolo italiano, surclassa tutti agli Europei. E al Mondiale è imbattibile: ha dei sospensori naturali ed è in una forma strepitosa, pure mentale. Il 15 luglio , a Monaco , poco meno di un mese prima dell’inizio dei Giochi di Rio , Gianmarco affronta con la sicurezza del fuoriclasse la Diamond League nel Principato di Monaco. Tamberi è un istante di bellezza, come un fulmine su uno sfondo di montagna. Ti senti fortunatissimo ad aver partecipato a qualcosa di profondamente illogico.

Salta a 2.39: è record olimpico, eguagliato il primato di Charles Austin ad Atlanta 1996. Ma non basta: alza ancora l’asticella, si carica, sa che qui si fa la storia e la si fa perché alle Olimpiadi non vuole andare da ultra favorito. Vuole incutere timore negli avversari, dire a Monaco ancor prima di Rio de Janeiro che tra mille medaglie in palio ce n’è una già assegnata.

Fissa l’asta a 2.41. Prende la rincorsa. Sbuffa la tensione. Destro, sinistro, corsa, salta. Crack. Caviglia gonfia: gli si rompono pure le scarpe dall’innaturalezza del movimento. La sfortuna più grande non sarà l’infortunio, sarà realizzarlo immediatamente. Non ha neanche un filo di speranza, ha solo lacrime che cadono copiose dal volto, pioggia maledetta di mezza estate, che butta dentro l’inverno, di fretta e facendo così tanto rumore. Dal fulmine, un tuono spaventoso . E solo Gimbo sa quanto ha piovuto dentro di sé.

 

L’atto di fede verso Tokyo

Il giorno dopo l’infortunio, l’operazione, la presa di coscienza di un sogno spezzato ben più duramente della stessa caviglia, Tamberi ha iniziato a pensare a Tokyo 2020 . Capirete dunque l’attesa, la pressione , quell’opera maestosa di convincimento che ha dovuto adoperare prima su se stesso, poi sugli scetticismi che gravitavano attorno. Ha vissuto quattro anni, più uno, con l’obiettivo della rivincita. Riabilitazione, allenamenti, sudore e fatica, per ritrovare quel senso di invincibilità che l’aveva portato a credere nel 2.41. Un istante di purissimo disincanto. La sensazione di volare. E di essere nato per farlo.

Quella benedizione a cui stava rinunciando da ragazzo, se possibile Gianmarco l’ha amata ancor di più. Gli ha dato uno scopo, definendo il suo posto nel mondo ai margini della pista d’atletica, attorno a una costruzione di poche forme e tutte delicate, così com’è sempre stato lui: uno a cui bastano poche certezze ma ben salde al terreno. L’asticella che cade, sta ferma, che gioca sui centimetri è il suo folle equilibrio, metafora di una vita a cercare il posto più in alto di tutti. Anche quando è caduto al suolo.

“Ho fatto schifo”, sussurrava alle porte dell'epilogo, proprio perché consapevole della forza accumulata in tutta quest'attesa. In finale, si è rimboccato le maniche, ha saltato una misura dopo l'altra, aggiungendo concretezza all'incredulità. Tutto perfetto. Fino all'errore finale, quando Barshim era già fuori e aveva fissato a 2.37 il limite umano. Proprio il fatto che Gimbo non sia riuscito ad andare oltre quella misura, è sembrato il tocco perfetto del destino: prima della gioia, esplosa e rotolata sulla pista d'atletica, c'era da aspettare e patire, ancora un po', ancor di più. Tamberi ha aspettato la decisione dei giudici e poi quella dell'avversario e amico, ultra favorito: hanno diviso un sogno, oltre all'oro. Racconteranno la storia più bella di Tokyo2020. Da protagonisti.