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Il carattere di Vlahovic: non solo gol e giocate

Davide Marino
Il carattere di Vlahovic: non solo gol e giocateDAZN
Davide Marino ci racconta le sue impressioni su Dusan Vlahovic, nuovo protagonista del format DAZN "Piedi X Terra". La Serbia, gli idoli e quell'arroganza positiva: il racconto

28 gennaio 2000, conosci un ragazzo di questa età e lo immagini timido, normalmente infatti si è poco più di una matricola universitaria.

Dušan Vlahović invece tutt’altro, anche se all’università si era anche iscritto, a medicina ma per fare un piacere a mamma, dentista, che ci teneva. Papà però cercava di dirle che non era la strada da seguire e il piccolo di casa è convinto: ”Non ho mai pensato di non farcela nel calcio, mai”.

Un giorno i professori infatti consigliano di accantonare gli studi perché le trasferte impediscono di frequentare e da lì Dušan non si ferma più.

Il percorso di Vlahovic

Dušan sembra molto più alto del suo metro e novanta, si impone, è vestito di bianco e sembra poter fare anche il fotomodello. Ha troppo carattere però per preoccuparsi di piacere agli altri, ti guarda come per farti capire fin da subito che, comunque alla fine, otterrà ciò che desidera.

E’ intelligente, sa quello che dice, sa come dirlo: “Baggio qui è stato una leggenda, lui gioca a calcio, io solo a pallone”.

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Vlahović però, a pallone ci ha sempre giocato bene, già dagli inizi, a 16 anni è il più giovane a giocare un derby di Belgrado. Roba per gente con personalità, gente appunto nata in Serbia.

Gli racconto che ho un caro amico serbo, che ha studiato a Milano ma ora abita a Lisbona, che si è adattato a tutto. E’ interessato, forse si rivede in lui. Gli dico che anche lui ha giocato, e nell’OFK Belgrado, squadra contro cui ha esordito gli sottolineo, ma è anche la squadra in cui ha iniziato lui a tirare i primi calci lui, mi corregge.

Mi dice che all’epoca l’OFK - lo dice all’italiana - provava a raggruppare i più forti che non andavano al Partizan o Stella Rossa. Si mette anche lui nell’élite dei più forti, ma specifica che poi comunque ci è andato lo stesso al Partizan. Sempre le idee chiare, sempre chiaro il focus di dove si vuole arrivare.

L'orgoglio serbo

Quando nomino il suo paese la faccia è orgogliosa, lo sguardo diretto e la testa ben alta. E’ orgoglioso di essere serbo. Ti guarda dritto negli occhi e dice che se avesse avuto l’opportunità di scegliere ancora il paese in cui nascere, avrebbe scelto sempre di nascere dov’è nato. La Serbia non la nomina ma è sempre lì con lui.

E’ con lui nella postura fiera, nei ricordi orgogliosi di un bimbo che è cresciuto in fretta in campo, ma fuori è uno come tanti: “mi regalarono la maglia del Partizan, usai lo scontrino per ritagliare dei pezzi di carta e fare un 35, il numero di Stevan Jovetic, il mio preferito quando andavo allo stadio”.

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Dalla tribuna al campo, da un giorno all’altro, poi il viaggio per Firenze. Si dice che per ogni tappa della vita, bisogna comunque girarsi verso il monte in cui si è nati e cresciuti. Vlahovic se ne ricorda eccome, a Firenze abita nella casa che è stata di Jovetic, il migliore amico è Milenkovic, con cui fece il viaggio, per ora, di sola andata da Belgrado. A completare il clan ci sono Nastasic e Terzic appena arrivati.

Vlahovic si è creato la sua Serbia a Firenze e se gli fai notare che anche in italiano ha una proprietà davvero linguistica notevole, un vocabolario ricco in cui non mancano le frasi ad effetto, come quella con Baggio, sa come risponderti: “Secondo me è importante cercare di immergersi nella cultura, magari è anche una predisposizione nostra ma da quando sono qui cerco di essere un fiorentino in più”.

Quella volta con Ibra...

arrogante

Ancora noi, i serbi, la Serbia. Come se fosse un’unica famiglia, la sua sta in cima a tutto: “i miei idoli sono mio papà, mia mamma e mia sorella. Questi sono i miei idoli”.
Il background però non mente, il coraggio è di quella generazione di “figli di Zlatan”. Al Franchi ci ha pensato tanto prima di avvicinarsi a lui ma il Milan aveva vinto 3-2 e magari Zlatan, che aveva pure segnato una doppietta, doveva essere piuttosto tranquillo.

Vlahovic aveva perso, doveva essere lui quello inavvicinabile ma è andato fino allo spogliatoio a chiedere di Ibra.

All’improvviso era tornato il Dušan bambino, se mai lo sia stato. Foto, maglia, autografo, con dedica, la perfezione per ogni fan, ma la dedica l’ha scritta “nella nostra lingua” e Vlahovic rimane sorpreso.

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Lui che di solito sorprende, rimane sorpreso e spiazzato.

E’ educato e gentile, conta quanti siamo e senza aggiungere altro ci chiede di passare dal Franchi, una volta finito di raccogliere le nostre cose lì.

E sta a vedere che questa volta non c’è neanche bisogno di fare un 9 con scontrino e colla.

Ti lascia positivamente interdetto, ti sorprende, le sue parole le capisci solo ripensandoci, ti entrano dentro e forse il primo a saperlo, neanche a farlo apposta, è proprio lui stesso.