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Il razzismo nel calcio va combattuto soprattutto fuori dal campo di gioco

Il razzismo nel calcio va combattuto soprattutto fuori dal campo di giocoGetty
Piccoli gesti, grandi interventi. Serve tutto per contrastare la piaga del razzismo, che continua a dilagare. Ma per un cambio importante è fondamentale agire alle basi: aprire al dialogo, all'ascolto, comprendere le difficoltà e agire in concreto

Il razzismo come trappola. Ideologia politica che continua a pervadere le strade di tutto il mondo, che stoppa l'ascolto e prova a silenziare le voci di troppe persone.  

Una guerra da vincere, un passo alla volta, anche grazie al contributo del mondo dello sport. Un luogo che non è risparmiato da questa piaga. E, proprio per questo, l'eco di chi ha grande visibilità diviene fondamentale.

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Le aspettative dei calciatori

E parlando di protagonisti non possono non essere citati due pilastri difensivi del campionato: Chiellini e Koulibaly.

Chiellini sul razzismo

Chiellini nell'ultimo episodio di Linea Diletta è stato chiaro: "Il razzismo è un male da combattere insieme, ma serve assolutamente l'aiuto delle istituzioni".

Linea Diletta con Giorgio Chiellini, Juventus, Serie A TIM 2021-2022 DAZN

Servono leggi, regole: questo è quello che dice senza mezzi termini il capitano della Juventus e della Nazionale. Dove non può mancare il contributo degli attori principali: "Noi calciatori dobbiamo fare di tutto, a partire dai piccoli gesti. Fare la nostra parte. Ma serve la parte più grande, a livello superiore, anche oltre le mere istituzioni calcistiche".

L'intervista a Koulibaly

Anche il giocatore del Napoli nell'ultima puntata di Linea Diletta ha parlato dell'argomento.

Lui che, dopo il triplice fischio di Fiorentina-Napoli, è finito bersagliato da fischi e insulti a sfondo razziale insieme a Osimhen e Anguissa. Il giocatore di Spalletti ha scelto di reagire a distanza, dando vita a un confronto acceso.

Linea Diletta con Kalidou Koulibaly, Diletta Leotta

Koulibaly e Chiellini, lontani ma vicini

Proprio in questi giorni il difensore del Napoli ha pubblicamente ringraziato il capitano della Juve per alcuni gesti nei suoi confronti: "Sono suo amico fuori dal campo, mi ha sempre difeso su tutti i fronti - ha dichiarato il calciatore africano -. Mi ha dato consigli importanti da calciatore e da uomo. E, soprattutto, si è scusato a nome di tutti gli italiani per il razzismo. Ma è una lotta che dobbiamo fare tutti insieme".

Il razzismo: tematica più che mai attuale

Insomma, nonostante le belle parole e le iniziative (come l'inginocchiarsi per il Black Lives Matter), la piaga del razzismo continua a dilagare.

Gli esempi sono all'ordine del giorno: uno dei casi più recenti ha coinvolto i giocatori del Milan nel match casalingo contro la Lazio.

 

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Da Wome a Zoro, passando per Balotelli e Boateng, fino ad arrivare a Koulibaly. Purtoppo la Serie A sembra non riuscire a risolvere il problema. E le soluzioni pensate (sospensione del match e sconfitta a tavolino) sono sembrate più deboli e irreali minacce, effettivamente poi mai messe in pratica.

Il Daspo in Premier

Una soluzione, più razionale, potrebbe essere semplicemente quella di punire i singoli responsabili. In Inghilterra, in Premier League, chi viene beccato in flagrante mentre lancia cori o fa gesti razzisti riceve il daspo, cioè l'allontanamento permanente dagli stadi di calcio.

Il Daspo in Italia

Il divieto di accedere alle manifestazioni sportive, in Italia, viene emesso dalla quuestura o da un tribunale al termine di un processo. 

Un problema italiano che va avanti da decenni

Un numero che fa riflettere: nella stagione 19/20, prima dell'arrivo del Covid, dalla prima all'11esima giornata di campionato erano stati registrati 15 episodi di violazione della Legge Mancino che avevano portato a individuare 18 responsabili sugli spalti.

La legge Mancino

La Legge 205 del 1993 condanna gesti, slogan e azioni legati all'ideologia nazifascista che incitano alla violenza e alla discriminazione per motivi di razza, etnia, religione o di nazionalità.

La pena prevista è quella della reclusione fino a un anno e sei mesi per chi propaganda idee fondate sulla superiorità razziale o incita a commettere atti discriminatori; da sei mesi a quattro anni, invece, chi commette violenza o atti di provocazione a sfondo razziale.

Thuram ritorna in campo... in libreria

Lilian Thuram, campione francese ex Parma e Juventus, ha recentemente pubblicato il libro "Il pensiero bianco", in cui evidenzia le problematiche passate e odierne che affrontano ogni giorno le persone di colore.

Lui, che chiama "seconda casa" l'Italia, si è esposto in prima persona per questa battaglia. Facendo riflettere, prima di tutto: "C'è gente che non affronta questa tematica in modo serio: o non vedono la violenza o non li tocca e quindi non se ne curano - ha raccontato a più riprese durante il tour di presentazione del suo libro -. Dobbiamo fare la nostra parte".

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Quale può essere, dunque, la soluzione? I giocatori. "Senza di loro non si gioca. Sono la chiave di tutto. Fondamentale l'intervento di giocatori bianchi in questo senso - dice pensando a coloro i quali si sono sempre inginocchiati prima dell'inizio delle partite -, che non possono ignorare il problema". Non fare niente per l'ex campione del Mondo e d'Europa, sostanzialmente, significa accettare lo stato delle cose. Per questo il suo appello va soprattutto verso coloro i quali non subiscono direttamente le conseguenze del razzismo.

Lilian prosegue così il suo percorso di divulgazione: un impegno sociale per sensibilizzare il mondo su tematiche delicate.

Il botta e risposta con Materazzi

Uno dei problemi più grandi però, resta la comprensione della questione. Un esempio: la risposta di Materazzi alle parole di Thuram: "Lilian non è mai uscito dallo stadio quando cantavano Materazzi figlio di p... Questa è la discriminazione".

Una dimostrazione sostanziale di grande confusione. Di come troppo spesso i problemi siano accavallati tra di loro, finendo per perdere i loro lineamenti. 

La risposta di Lilian

"La risposta di Materazzi fa capire che lui non capisce cos’è la discriminazione. Per questo bisogna educare i giocatori a capire. Se uno ti dice figlio di put**a, rimane un insulto su di te. Ma se uno ti dice sporco ne**o, se lo sentono i bambini lo prendono per loro. Quando esci dal campo e vai in giro, lo fai con il tuo colore della pelle. È difficile quando sei visto come diverso. Se si analizza la risposta di Materazzi bisogna farlo molto bene: prendi dei libri, impara, capisci. E vedrai che stai facendo dei paragoni che non c’entrano. Non ha capito la violenza della discriminazione".

Gli inquietanti dati in Italia

L'AIC dal 2013 ha istituito un osservatorio per monitorare gli atti di violenza nel professionismo e nei dilettanti a sfondo razziale. Nella stagione calcistica 2018/19 il 66% degli episodi di razzismo censiti è avvenuto all'interno di uno stadio. Un dato sconfortante

Non va dimenticato il mondo "sommerso", o meglio, i dilettanti: sono tantissimi i casi che coinvolgono le leghe minori e di cui si parla in misura di gran lunga inferiore rispetto ai casi dei professionisti.

Un elemento che ci ricorda che la problematica deve essere risolta, prima di tutto, alla base. Con un cambio di cultura. Osservare l'altissima percentuale di casi nel mondo dei più piccini fa rabbrividire.

Dati episodi razzismo nei dilettanti

CampionatoPercentuale episodi razzismo
Promozione ed Eccellenza4% e 4%
Serie D4%
Prima e Seconda Categoria9% e 9%
Campionati Giovanili70%

Tempo di agire

Insomma, sempre di più assistiamo a una lotta continua contro questo problema. Alla voglia da parte dei più di fare qualcosa di utile. Passando per l'aspetto più importante: far prendere consapevolezza.

Semplicemente è tempo di agire. Ricordando che, come dice Baldwin nel suo libro "I'm not your negro", "Non si può cambiare tutto, ma nulla si può cambiare se non lo si affronta".