Uomo di mondo, profondo conoscitore del calcio giovanile. Da un po’ anche apprezzato commentatore di Dazn, con cui racconta la magia delle notti di Europa e Conference League e le emozioni che ci regala la Serie A. Andrea Stramaccioni non ha bisogno di presentazioni: semplicemente, è uno che sa. E quando analizza ciò che vede sui campi da calcio e tutto ciò che ruota attorno lo fa con passione, ma soprattutto conoscenza. La chiacchierata con Strama parte dalla stretta attualità. Che porta a Milano, all’Inter, a Frattesi: “Tra quelli emergenti, il miglior centrocampista italiano”.
Stramaccioni, forse si sta sottovalutando la cessione di Brozovic?
“Per me, parlare di Marcelo è semplice: quando ero all’Inter acquistammo Kovacic, suo compagno alla Dinamo Zagabria. Seguivamo entrambi e Brozovic arrivò più tardi, con Mancini. Parliamo di un giocatore unico, sia tecnicamente sia a livello di leadership, che nella parte finale della scorsa stagione è stato fondamentale. Tuttavia, Inzaghi potrà insistere con Çalhanoğlu regista. E poi, parlando della scelta di cederlo all'Al-Nassr, magari lui ha considerato concluso il proprio percorso all'Inter. In passato aveva già ricevuto offerte importanti da squadre europee prestigiose, ma aveva sempre scelto di restare. Le cose, lato suo, evidentemente erano cambiate. Senza rimpianti, quindi, tutti possono essere contenti: il ragazzo, il club arabo e l’Inter, che incassa un po' di milioni”.
Frattesi, quindi, è da Inter?
“Lo conosco bene, essendo un prodotto delle giovanili della Roma: questa è un'altra vittoria di Bruno Conti, per me un ‘padre calcistico’. Per certi versi, il suo percorso può essere paragonato a quello di Pellegrini, oggi capitano giallorosso: Davide non è tornato a ‘casa’, ma arriva in una delle società top al mondo. Società che, secondo me, prende il miglior centrocampista italiano tra quelli che stanno emergendo. Lì in mezzo, con lui e Barella l’Inter ha il futuro assicurato per tanti anni”.
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Thuram ha le qualità per essere decisivo da subito?
“Non va paragonato a Dzeko, le caratteristiche sono diverse: è un attaccante con ampi margini di crescita, che ancora non ha fatto il definitivo salto di qualità. Ecco, in Italia può farlo”.
Parlando ancora di azzurro, qual è la sua idea sulla cessione di Tonali?
“Economicamente, oggi il calcio italiano non può competere con quello inglese. E se arriva un’offerta del genere, impareggiabile per il Milan, la decisione è solamente del ragazzo: non lo conosco personalmente, ma a questo punto la scelta è stata sua. Howe, tecnico del Newcastle, l’aveva messo in cima alla lista degli acquisti e per una proprietà del genere non c’era alcun problema nel fare un’offerta così pesante al Milan. Milan che non deve avere rimpianti: a questo punto, però, serviranno gli acquisti”.
L’addio di Maldini peserà, non solo a livello tecnico?
“Il dirigente mi è piaciuto molto: ha gestito i momenti difficili mettendoci sempre la faccia, nel modo corretto. E sul mercato, in collaborazione con Massara, ha dimostrato di essere all'altezza. E se a questo aggiungiamo l’aspetto ‘romantico’, beh: come si potrebbe non volere leggende come Maldini, Zanetti, Del Piero e Totti? Mi spiace molto, ma il calcio è anche questo: evidentemente, tra Paolo e la proprietà americana non c’era intesa. E in questi casi, la separazione è inevitabile”.
Al netto di ciò che ha detto ed è stato detto, perché Spalletti ha lasciato Napoli?
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“Probabilmente, nella seconda parte della stagione, si è rotto qualcosa con la proprietà. Un qualcosa che le parti hanno provato a sistemare, ma era troppo tardi. A Luciano sono legato: mi piace la persona, idem l’allenatore. A Napoli ha raccolto i frutti di quello che aveva seminato, per esempio, con Roma e Inter: senza vincere, ok, ma andandoci vicino e dovendo, inoltre, gestire delle situazioni molto delicate come quelle di Totti e Icardi. Come non considerarlo uno dei più bravi? Lo Scudetto lo consacra al 100%”.
Per chi arriva dopo una stagione del genere, può anche essere dura.
“Non potrà esserci un altro Napoli come quello di Spalletti. Garcia, la cui scelta mi ha sorpreso, dovrà essere bravo proprio in questo: la storia insegna che spesso, quando si vuole insistere nella stessa direzione, si fatica. Qualche novità, qualche differenza rispetto al recente passato, me l’aspetto. E comunque parliamo di un tecnico che conosce il 4-3-3 e che ha vinto in Ligue-1 con il Lille, non proprio la più attrezzata, e che ha fatto molto bene con la Roma, quindi conosce la Serie A. De Laurentiis l'ha scelto per queste ragioni”.
Considerando il particolare momento storico, paradossalmente per la Juventus non sarebbe meglio giocare una stagione senza Europa?
“Non sono d’accordo, perché ti chiami Juventus: sei un club conosciuto in tutto il mondo, con milioni di tifosi. L’Europa è sempre l’Europa, lo sarebbe pure la Conference nel caso venisse confermata. L’importante è avere le idee precise su come giocarla: vuoi puntare a vincerla? Serve un organico adatto, forte e profondo. Altrimenti fai una scelta, simile a quella di Sarri con la Lazio: in Europa dai spazio alle alternative, lanci qualche giovane e ti concentri sul campionato”.
A proposito di Sarri, con la Champions serviranno acquisti di livello.
“Assolutamente. L’anno scorso è capitato che non avesse il cambio neanche all’’interno della singola partita. E poi non sono d’accordo con chi pensa che Sarri giochi sempre con i soliti 13-14: se cambia poco o nulla, vuol dire che gli altri non sono all’altezza. Al Chelsea cambiava poco? Non mi sembra, d’altronde aveva 16-17 giocatori di alto livello. Adesso servirebbero altri 3-4 titolari”.
La Roma e Mourinho ripartiranno insieme: doveroso alzare ulteriormente l’asticella?
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“Discorso opposto rispetto alla Lazio, la Roma ha perso punti in Serie A dal momento in cui l’Europa League è entrata nel vivo. Il lavoro di José, comunque, resta estremamente positivo. Piaccia o meno, con lui è tornata una chiara identità tecnico-tattica. L’entusiasmo è clamoroso e i tantissimi sold-out della scorsa stagione sono un qualcosa di eccezionale. Infine, grazie alle due finali consecutive, la Roma è tornata a essere un club importante, di nome, di dimensione europea”.
L’Atalanta ha scelto ancora Gasperini, Gasperini ha scelto ancora l’Atalanta. Per l’ottavo anno consecutivo.
“Un maestro, per due anni abbiamo lavorato insieme a Crotone: per lui era la prima esperienza da allenatore professionista dopo il settore giovanile alla Juventus e come calciatore c’era un certo Juric. Il mio ruolo era quello di osservatore per il vivaio: vivevo a Roma e cercavo i giovani fuori regione. Fu un’esperienza bellissima e importante, non posso non ringraziare anche Ursino. Mentre, per quanto riguarda Gian Piero, cosa aggiungere... Ha fatto la storia dell’Atalanta, l’ha fatta restando al passo con i tempi con un ottimo e vincente ricambio generazionale. Questo fa la differenza. E poi, tatticamente, il suo 3-4-3 è molto aggressivo, diciamo unico. Vince una scommessa dopo l’altra, grazie anche al lavoro della proprietà, di Sartori prima e D’Amico poi, riuscendo a rimanere sempre o quasi lassù in classifica. L’ho visto di recente: era felice e molto carico. La Dea c’è e ci sarà sempre”.
A livello giovanile, Samaden a Zingonia è una sorta di “colpo dell’estate”?
“Con Bruno Conti, il top per quanto riguarda i giovani. Abbiamo condiviso l’esperienza all’Inter ed è veramente il migliore: capace, un professionista vero, un uomo di calcio che ha come obiettivo quello di costruire. Inoltre, si sposta di poco: da Milano a Bergamo. E questo aspetto non è banale, perché ha una conoscenza incredibile del territorio, a partire anche dalle società dilettantistiche. E sa qual è il suo più grande merito? Antepone la crescita del ragazzo alla vittoria di un trofeo. Certo, sarei ipocrita a nasconderlo: portare a casa uno Scudetto o un Torneo di Viareggio è sempre un grande risultato, ma la crescita del calciatore, per lui, viene decisamente prima. Questo, forse, non è chiaro a tutti”.
Vuole approfondire?
“Dobbiamo parlare delle Nazionali, del nostro calcio. Partendo dal presupposto che non ci sono più i campioni di qualche anno fa. Per migliorare la situazione, ribadisco un concetto. E lo sfortunato Europeo dell’Under-21 c’entra marginalmente, il problema nasce da lontano. Servono delle regole precise, rivolte a privilegiare il calciatore italiano. Faccio un esempio: se arrivassero degli stranieri, pescati all’estero, che si rivelano forti andrebbe bene: tuttavia, sarebbe opportuno tesserarli solo a partire dai 16-17 anni, quando manca poco al primo contratto e al professionismo. Capisco non sia facile, ma comunque in una rosa da 20-22 giocatori e nell’undici che inizia la partita il 60-70% deve essere obbligatoriamente italiano. Il concetto di partenza deve essere questo: privilegiare i nostri ragazzi. Siamo l’Italia e sono sicuro che in giro ci siano molti talenti che non sappiamo nemmeno che esistano”.
Come spiega, infine, le tre finali europee perse?
“Episodi che non hanno nulla a che vedere con la situazione generale del nostro calcio. Questo triplo traguardo va considerando come un successo e le squadre meritano applausi: la Roma è stata sfortunatissima con la squadra arbitrale, giocando forse la partita migliore nella fase a eliminazione diretta. La Fiorentina aveva la gara in pugno, ha pagato per un infortunio tecnico. Mentre l’Inter, beh... Cosa si diceva nei giorni precedenti? Sembrava sconfitta in partenza, invece c’è addirittura il rammarico per un risultato non meritato: Inzaghi e i suoi hanno messo in difficoltà Guardiola, tatticamente il numero uno al mondo. L’Italia ha dimostrato di esserci, eccome, seppur con budget decisamente inferiori rispetto agli altri Paesi. Quindi, bene così. Ora diamo continuità”.