Scegliere un punto di partenza non è semplice. Per due motivi. Uno: sono tanti e troppi i momenti di Luis Suarez. Due: la difficoltà di essere costretti a farlo. Inevitabile. Perché l’alternativa, un punto d’arrivo, ancora non c’è.
Il Pistolero compie 35 anni. 17, sul campo dei professionisti. Dall’esordio con il Nacional, passando per l’avventura con il Liverpool e la Nazionale dell’Uruguay, fino al presente, che dura da tanto: un presente che da quasi un decennio parla spagnolo.
Suarez azzanna LaLiga all’ultimo respiro
Non è semplice, dicevamo, scegliere questo punto per cominciare a raccontare Suarez, ma si può fare. Ed è un momento che potrebbe coincidere metaforicamente con un traguardo. Le fattezze di un punto d’arrivo. Momentaneo.
È il suo pianto del 22 maggio 2021. Lacrime di gioia. Valladolid-Atletico Madrid. La squadra di Simeone è a +2 sul Real Madrid: è l’ultima giornata de LaLiga. A pari punti sarebbero i blancos a trionfare. Biancorossi, insomma, padroni del proprio destino. Ma il gol di Plano al 18’ complica tantissimo i piani.
È la situazione peggiore. Avere il sogno a portata di mano, a un passo, sapere che dipende soltanto da te, che se sbagli non avrai altri a cui dare la colpa se non te stesso. E vederlo allontanarsi. Contro un avversario, praticamente, condannato alla retrocessione. Ma forse è anche la situazione migliore. Perché non hai da guardare altrove. Perché sei tu e basta. Perché se sei lassù a 45 minuti dalla fine del campionato significa che si può fare. In una Liga dove il primo posto è praticamente sempre stato tuo. In un campionato che hai rischiato di veder scivolare via dalle mani più volte.
Significa che la vetta è distante soltanto un ostacolo. Forse uno dei più grossi a livello mentale, ma pur sempre l’ultimo.
Finisce il primo tempo e l’Atletico è sotto. Ma incredibilmente anche il Real Madrid sta perdendo al Bernabeu contro il Villareal (gol di Yeremi Pino). Sarebbe bello poter vedere cosa sia accaduto nell'intervallo negli spogliatoi delle due squadre della capitale spagnola. Fare gruppo. Raccogliere tutte le energie mentali e fisiche di un anno di sacrifici.
Per l'Atletico, in realtà, è tutto molto semplice: se la matematica, al momento, gli regalerebbe comunque il titolo, la testa dice che bisogna vincere perché il Real riuscirà a ribaltare il risultato. Cosa che poi, effettivamente, accadrà.
Così la ripresa diventa un assolo. Diventa la voglia di un popolo di prendersi ciò che gli spetta. Prima Angel Correa con una rasoiata dal limite, di punta, pareggia i conti. Poi, inevitabilmente, è Suarez a chiudere il cerchio, non fallendo un'occasione d'oro (su regalo di Guardiola, che lancia verso la sua stessa porta l'"uomo più caldo della Liga"). L'esito della sua galoppata è un piattone preciso mancino. Il gol della vittoria.
Chi se non lui. Chi se non Luis. Perché quando è il momento di alzare l'asticella, di fare la differenza, Suarez risponde sempre presente.
È l’undicesimo titolo per l’Atletico. Uno dei più belli, in assoluto. Per Suarez sono 21 gol in 32 presenze. Che si lascia andare a un pianto liberatorio. Uno dei più emozionanti mai visti su un campo da calcio.
Luis si sfoga. Si lascia andare e abbandona un peso. Dopo essere riuscito a conquistare quello che solo qualche mese fa sembrava un traguardo impossibile. Dopo aver dimostrato, ancora una volta, cosa è in grado di fare. Dove è capace di arrivare. Alla faccia di qualche allenatore...
La vendetta su Koeman
Quel campionato vinto ha un significato ancor più speciale per l'attaccante. Koeman, ai tempi allenatore del Barca, aveva messo alla porta Suarez senza troppi complimenti. Lui, nello scontro diretto, aveva però saputo togliersi qualche sassolino dalla scarpa.
Prima l'assist al bacio per Lemar, al minuto 23: un tocco di sinistro preciso, per l'inserimento del compagno che insacca con un potente tiro sotto la traversa. Poi, dopo aver sciupato una bella occasione (cosa non da lui), al 44esimo lo stop su passaggio di Lemar, mira presa e, con una freddezza unica, il tocco a superare Ter Stegen.
First reaction: chiedere scusa ai vecchi tifosi. Mentre De Paul gli salta addosso e inizia a dirgli qualcosa all'orecchio. Poi un bel respiro, il bacio alle tre dita e lo sguardo verso la tribuna. Lì c'è proprio Koeman, squalificato. E le mani simulano una telefonata, mentre gli occhi fissano la postazione dell'allenatore del Barcellona, non in campo per via della squalifica.
Nei giorni prima del match Suarez si era espresso pesantemente sul tecnico ricordando alcuni fatti della sua ultima stagione in blaugrana: "Mi faceva allenare nei campi secondari, come se avessi 15 anni. Mi ha fatto male, eppure io non gli ho mai mancato di rispetto". Lo sguardo, così, in direzione di chi l'aveva messo alla porta con una telefonata. Un gesto vale più di mille parole: la vendetta di Suarez è stata la più dolce possibile .
Dal tornare a casa in lacrime dopo le sessioni di allenamento, a fermarsi in un campo piangendo per aver vinto la Liga. Una situazione ribaltata in 9 mesi. Cose rare. Cose da campioni.
L’intesa magica con Leo Messi
Si è così aperta anche la parentesi Barcellona.
Per anni è stato così. Messi per Suarez. Gol. Suarez per Messi. Gol. L’addizione perfetta, che dava sempre la stessa somma. Perché invertire gli addendi non cambia, il risultato è sempre lo stesso: vedere il popolo blaugrana impazzire di gioia.
Con il 7 volte Pallone d'Oro l’uruguaiano ha vissuto una delle fasi più prolifiche della sua magica carriera. Certo, mettiamoci anche il terzo elemento, Neymar, per il tridente dei sogni. Chiedere alla Juventus, che contro quella squadra di marziani se l'è giocata fino all'ultimo secondo, in una finale di Champions memorabile.
Un'intesa, quella fra i due, consolidata anche fuori dal campo di gioco. Amici stretti, sempre insieme. Un legame così forte, un modo di capirsi unico, che in campo si è tradotto tantissime volte in giocate da urlo.
Nella consapevolezza di sapere, senza guardare, quale scelta avrebbe compiuto il compagno. Trovarsi, sempre, a prescindere dalle circostanze. Una moderna storia d'amore.
Con il Barcellona è stato il primo e unico giocatore nella storia del campionato spagnolo a segnare 4 gol in due partite di campionato consecutive. Parte di quella MSN da sogno: il tridente più prolifico della storia della Liga.
Giocatore | Gol dal suo esordio in Liga | Assist dal suo esordio in Liga |
Messi | 224 | 91 |
Suarez | 175 | 73 |
Benzema | 134 | 59 |
Ronaldo | 119 | |
Griezmann | 119 |
Il gol più bello di Luis Suarez
Suarez è stato però anche l’unico capace di interrompere la striscia copia-incolla di Messi/Ronaldo nell’elenco dei capocannonieri della Liga, per una stagione, nel 2015/2016.
In carriera il bomber di Salto ha realizzato, dati alla mano, quasi 450 gol in tutte le competizioni. Stilare una classifica delle marcature più belle è difficile non tanto per la quantità di reti segnate, quanto per la bellezza intrinseca della maggior parte di queste.
Ci sono i gol segnati praticamente da centrocampo con la maglia del Liverpool. Due volte, sempre contro il Norwich.
C'è il tiro a giro contro il Real Sociedad, precisione e morbidezza. C'è la sforbiciata contro l'Arsenal, mix di tecnica e fantasia. C'è quello contro l'Eibar: ostinatezza e forza fisica. C'è il gol contro il PSG che David Luiz sogna ancora di notte (ci torniamo alla fine).
Ma ce n'è uno che, probabilmente, racchiude in sé così tante sfaccettature da meritarsi per forza di cose il primato. Bisogna fare un salto indietro, al 7 dicembre 2019: Barcellona-Mallorca.
Arte allo stato puro. Un gol che arriva al termine di un'azione corale meravigliosa. Con un lampo di genio che solo i grandi campioni sanno inventare.
Il disegno realizzato dall'attaccante è qualcosa di mai visto. L'attacco allo spazio, da rapace d'area che vede il vuoto e ci si tuffa in un lampo, l'intuizione in una frazione di secondo di ciò che sarà di lì a poco: quale sarà la posizione del pallone, quella del portiere e quella del suo corpo. Poi, semplicemente, Suarez. Trovare la soluzione al problema. L'unica possibile. O impossibile, per praticamente la totalità degli esseri umani. Una prodezza balistica di tacco, che fa anche impennare la palla, e disegna un leggero arcobaleno che muore lentamente in fondo al sacco.
Un gol che ruba la scena anche alla tripletta di Messi in quella partita. Forse, il suo gol più bello realizzato in carriera.
Un tornado in Red
La storia con il Liverpool è speciale. 110 presenze in 3 anni e mezzo e 69 gol.
Alti e bassi al suo arrivo in Inghilterra, per circa 26 milioni di euro dall'Ajax. Le discussioni con Evra. I problemi con qualche compagno. Un roller coaster tra gol e scatti d'ira, come quello del 21 aprile 2013, quando contro il Chelsea morde il braccio del suo avversario Ivanović, ricevendo così ben 10 giornate di squalifica. Serve tempo per adattarsi. Ma la stagione successiva è quella del defintivo upgrade.
Suarez ad Anfield fa il salto di categoria. Si rivela uno degli attaccanti più forti al mondo. Va controcorrente, si muove sulla linea dell'offside come nessuno sa fare. Con i suoi movimenti regala profondità ai compagni e, in area, è letteralmente devastante.
Cinico, freddo, geniale. Tecnico e fisico nel mix giusto. Capace di allungare le difese e, con compagni dotati di una qualità sopraffina, di partecipare alla manovra corale.
Ma di tutti i numeri e le magie degli anni in Premier, ce n'è uno, per quanto crudo e doloroso, che raccoglie tanto di Suarez. Il momento in cui il titolo di campioni d'Inghilterra gli è scivolato via dalle mani.
Stagione 2013/14. "Dalla posizione in cui ero in campo in quel momento l’ho visto in maniera stranamente chiara. Il momento in cui tutto ha iniziato a scivolarci via. La palla è passata sotto il piede di Steve (Gerrard, ndr) e ho visto Demba Ba correre tutto solo verso la nostra porta. Ho sperato che Simon lo fermasse in qualche modo. Ma non è andata così". Lo scivolone di capitan Gerrard, che ha infranto i sogni dei Reds.
Sono le parole dello stesso Suarez, a commentare quanto accaduto il 27 aprile 2014: Liverpool al comando in Premier League, che cade in casa contro il Chelsea di José Mourinho per via di quell'errore. Un titolo che mancava dal 1990 e che la squadra di Brendan Rodgers, reduce prima di quel giorno da undici vittorie consecutive, stava accarezzando. Resterà un colpo durissimo da incassare. Un boccone impossibile da digerire.
Suarez = sacrificio. O la mano di Dio...
Tornando alla scelta dei momenti del Pistolero c'è una delle istantanee più belle della sua carriera che coincide con un colpo scorretto. No, non il morso a Chiellini (e pensare che i due sono stati vicinissimi a diventare compagni di spogliatoio), ma un gesto estremo.
Il fallo di mano che ha spezzato i sogni di una nazione intera. Al Mondiale del 2010 il Ghana sta per approdare per la prima volta in assoluto (non era mai capitato in realtà a nessuna africana) alle semifinali del torneo. C'è Ghana-Uruguay.
Al FNB Stadium la sera del 2 luglio 2010, chi vince conquista il pass per sfidare l'Olanda. Ma a Johannesburg succede qualcosa di unico: Suarez ha appena portato la sua nazionale ai quarti con una doppietta alla Corea del Sud, ma contro il Ghana non segna. A timbrare il cartellino sono Muntari nel primo tempo e Forlan nel secondo, per l'1-1 che vale i supplementari.
Lì la tensione è palpabile. E i rigori, dopo 30 minuti, sono imminenti. Ma all'ultimo istante Muslera esce a vuoto e nella mischia un colpo di testa di Asamoah sta per infilarsi in porta. Suarez è sulla linea: in quel momento non ci sono alternative: o è gol, o si para. Luis sceglie di parare e di prendersi il rosso, pur di lasciare una speranza in più ai suoi. Creando una terza opzione, quella della speranza.
Sul dischetto va proprio Gyan Asamoah, eroe della nazione fino a quel momento, per il rigore che può scrivere la storia delle squadre africane al mondiale. Traversa. Suarez nel tunnel è inquadrato dalle telecamere ed impazzisce di gioia: si va ai rigori.
Il sacrificio servirà. Scherzo del destino, nella lotteria più infame dello sport, un Uruguay moralmente molto più carico per quanto accaduto poco prima passa il turno.
"Sono un golerazo, un grande portiere, non avevo altra scelta, e la 'mano di Dio' sono io ora ad averla. L'ho fatto perché i miei compagni vincessero ai calci di rigore. Quando ho visto che il tiro sul penalty andava alto, è stata una grandissima gioia" le parole dell'attaccante che ai tempi militava nell'Ajax. Un fallo di mano mai più produttivo. Antisportivo? Un bel dibattito...
Io so' testardo...
Daniele Silvestri canta: "Io so' testardo. C'ho la capoccia dura e per natura non abbasso mai lo sguardo è un'esigenza...". Suarez è l'emblema della testardaggine. Parliamo di un soggetto che, a 12 anni, continuò a giocare a calcio nonostante un piede mezzo rotto (una macchina passatagli sopra gli aveva fratturato il metatarso). Semplicemente, non se n'era accorto. Forse...
Ostinato e contrario. Mai amato dagli avversari, controverso, ma pur sempre un buono. In grado di conquistare "i suoi" a modo suo. Che ha sempre necessitato di spalle forti e colonne su cui appoggiarsi. Come Walter Ferreira, il fisioterapista dell’Uruguay venuto a mancare pochi anni fa a causa di un cancro che, poche settimane prima del Mondiale 2014, aiutò l’attaccante nella riabilitazione rimettendolo in sesto per la competizione.
Seconda partita del Gruppo D. Uruguay-Inghilterra. Al triplice fischio è 2-1, il gol Rooney è inutile: il Pistolero ne fa due.
E corre a esultare dal suo amico. Indicandolo. Ringraziandolo. Perché l'attaccante ne era sempre stato convinto, anche mentre Walter faceva chemioterapia: "Se tu non vieni con me al Mondiale io non ci vado, non posso farcela".
In quel girone c'era anche l'Italia, eliminata nella giornata successiva proprio dalla Celeste con un gol di Godin. L'altra faccia della luna in quella sfida: è lì che Suarez azzannerà Chiellini prendendosi 9 giornate di squalifica. Ah, per rinfrescare la memoria. Uruguay qualificato come secondo, prima la Costa Rica. A casa Azzurri e inglesi.
Ma la storia evidenzia quanto dietro quella facciata da cattivo si nasconda un cuore immenso. Un amore esclusivo, da dare a pochi. Capace di trainare le emozioni e di fornire una carica infinita di energia. Forse è proprio in quei frangenti, quando Suarez si è sentito amato e coccolato, che ha saputo tirare fuori il meglio di sè.
Un carattere rude, frutto di un'infanzia, come spesso accade, difficile. Dalla già citata Salto, cittadina di campagna, alla metropolitana Montevideo a soli 7 anni, per seguire genitori e fratelli (ben sei). Cresciuto giocando a calcio nei vicoletti, guadagnando i primi soldini spazzando le strade e raccogliendo schede telefoniche da rivendere. Sarà proprio in quella parte di mondo, al Nacional per l'esattezza, che tra mille difficoltà emergerà il suo talento cristallino.
Oggi Suarez, a 35 anni, è un uomo maturo. Che continua a stupire in un rettangolo verde che gli ha cambiato la vita. Prendendo a calci quel pallone che è metafora della sua esistenza.
Quindi. Come chiudere un elogio a uno degli attaccanti più forti di sempre? Con un bel tunnel a David Luiz, per ricordare quando il Pistolero sia da sempre capace di unire la magia del gol a una tecnica sopraffina, buttando dentro un elemento psicologico di supremazia che non guasta mai. 15 aprile 2015. Il difensore brasiliano ha ancora gli incubi di notte...