Lamont Marcell Jacobs è nato il 26 settembre 1994 a El Paso, tra il deserto di Chihuahua e la sponda texana del Rio Grande, terra di miniere d’oro e nuove frontiere. Viene da lontano, ma la fonte vitale di Jacobs è a riva del Garda, piantato in un terreno florido e di confine dall’altra parte del mondo. Rappresenta un’Italia virtuosa e inclusiva, un’Italia che cambia, vincente e multietnica.
Desenzano, Texas
L’Università di El Paso è l’élite dell’atletica americana. La sua pista ha formato generazioni di campioni come Bob Beamon, che ai Giochi Olimpici di Città del Messico nel 68 è atterrato ai confini della realtà, frantumando il record del mondo di salto in lungo: furono 8,90 metri di smisurata impresa, un’eterna impronta nella sabbia nell’anno della rivoluzione, pochi mesi prima che Neil Armstrong e Buzz Aldrin camminassero sulla Luna. Poche ore dopo i pugni neri di John Carlos e Tommie Smith.
Jacobs è nato lì vicino, ma la sua atletica è tutta italiana, proprio iniziata nelle sabbiere del salto prima di diventare sprinter. Desenzano, Brescia, Lucca, Roma e il 2021: 60 metri piani corsi e vinti agli Europei indoor di Torun, il nuovo record italiano dei 100 metri a Savona in 9”95, la batteria vinta a Tokyo in 9”94, il primo record europeo in semifinale da 9”84, la medaglia d’oro olimpica incontro ai viaggi dell’immaginazione. Un’impresa scritta in 9”80 di polvere di stelle con gli stessi numeri (invertiti) di Beamon e il fascino invincibile dei 100 metri, che ogni volta squartano il tempo proiettando il futuro.
La rinascita del mito di Mennea
Ecco. L’Italia non è più il paese dei palloni incastrati sotto le marmitte, eppure ci sono due nomi scolpiti da allora nella cultura di massa: da quando, alle Olimpiadi di Mosca nel 1980, Pietro Mennea e Sara Simeoni vinsero 200 metri e salto in alto, diventando icone nazionali della prima Italia a colori.
Ecco. Il prodigio s’è replicato due decenni dopo con Gianmarco Tamberi e Marcell Jacobs, che in undici minuti hanno vissuto la stessa emozione di vincere una medaglia d'oro uno stadio olimpico: impressioni assolute e condivise per un paese che da allora non era più uscito dai blocchi. E non s’era mai più spinto così in alto.
9"80: il nuovo tempo dorato
Ecco, in tempi mutevoli come i nostri d’ingorghi sensazionali e sovresposizioni mediatiche, poche persone varcano un frammento di gloria in un quarto d’ora di notorietà, eppure i 100 metri sono quella sfida primordiale che aderisce perfettamente all'esperienza dell'istante. Al nostro tempo in cui ogni vittoria diventa impresa e ogni atleta è mitizzato sulle pagine di storia, Marcell Jacobs ha corso un’impresa che avrà il suo posto fra i miti moderni dei libri di scuola. Dei figli e dei nipoti.
Marcell Jacobs verrà ricordato per un tempo eterno. Un tempo dorato di 9”80, inversamente proporzionale alle 2 ore 10 minuti e 55 secondi impiegate da Stefano Baldini per vincere la maratona di Atene 2004: l’ultima opera enorme dell’atletica italiana, scritta nella distanza più lunga dell’atletica mondiale prima di questa infinità brevità.
C’è ancora un tempo da scrivere ed è il tempo colmato da Marcell Jacobs dopo il ritiro di Usain Bolt, che ha vinto l’oro sui 100 metri (e 200mt) di Pechino 2008, Londra 2012 e Rio 2016. Ai primi Mondiali senza Bolt il più veloce era stato Christian Coleman, squalificato per doping. Alle prime Olimpiadi dopo Usain, tutti i suoi presunti discendenti si sono sfilati in batteria e falsa partenza. C’erano due outsider, Fred Kerley e Andre De Grasse, finiti dietro a Marcell Jacobs. C’era solo malinconia. Che in 9"80 è diventata magnifica pienezza.