Chissà se in molti hanno ripensato a Viviani quando, a Rio 2016, finì per terra disarcionato dalla sua bici prima di vincere l’oro olimpico. Chissà a cos’avrà pensato lei, Arianna Fontana, tirata giù (accidentalmente) da Suzanne Schulting all’uscita della prima curva, ruzzolata fuori pista tra gli spettri di Sochi. Chissà a cos’ha pensato l’olandese, quando Arianna le è sbucata davanti al penultimo giro con un sorpasso alla Schulting, sua rivale di sempre.
Di queste gare in pista corta che sembrano un rodeo ci si ricorda tutto, così intense ed espressive. Ci si ricorda di lei, di Arianna Fontana, ogni quattro anni e non sarà mai (nemmeno vagamente) abbastanza. Ogni volta che si rimane con la testa tra le mani, ogni volta che lei vince una medaglia d’oro olimpica che dalla prima - a sedici anni, era Torino 2006 - è proprio passata una vita.
Schivo di solito le statistiche come un Vinatzer fra i pali stretti, però stavolta bisogna inforcare perché il filo di Arianna è tutto da scrivere. Perché questo è un oro consecutivo dei 500 metri Short Track e specialmente la sua decima medaglia in cinque Olimpiadi, eguagliando la primatista italiana Stefania Belmondo. Fontana è inoltre la quarta atleta italiana a vincere l’oro olimpico per due edizioni consecutive dopo Alberto Tomba (3 fra Calgary 1988 e Albertville ‘92), Deborah Compagnoni (3 da Albertville ’92 a Nagano ’98) e Armin Zöggeler a Salt Lake City 2002 e Torino 2006.
E la sua Olimpiade non è mica finita. Non è finita a Pechino - dove gareggerà nei 1000, 1500 metri e nella staffetta femminile - e poi chissà. Chissà a cosa penserà all’alba di Milano-Cortina 2026.
Una Brignone Gigante
La carriera di Federica Brignone ha la fibra durevole della campionessa. Tredici anni di circo bianco (19 vittorie) con un capolavoro chiamato Coppa del Mondo Generale 2020, unica sciatrice italiana di sempre. La medaglia d’argento ai Mondiali 2011 e questo argento olimpico alle spalle di una sciatrice svedese in stato di grazia (Sara Hector) dopo il bronzo di PyeongChang 2018, consacrano Federica nell’altra dimensione. Dove sciano le leggende. E dove sulla pista del mito può diventare SuperGigante. Stiamo uniti.
Wüst, il mestiere della grandezza
In Olanda il pattinaggio su pista è un mestiere. È una funzione sportiva. È una fucina d’oro. Lo è da sempre ed è come se Ireen Wüst vincesse da sempre, giunta alla sesta medaglia d’oro in cinque edizioni olimpiche consecutive da Torino 2006 (3000 metri), passando per Vancouver 2010 (1500m), Sochi 2014 (300 m e inseguimento a squadre) e PyeongChang 2018 (1500m) per arrivare fin qui, a trentacinque anni, coi suoi 1500 metri dorati. Essendo la prima atleta capace di questa enorme grandezza nella storia delle Olimpiadi (estive e invernali), è anche un po’ come se lei pattinasse per sempre. Ah, Ireen Wüst è lesbica e in Olanda esserlo è normale. Altrove ci vorrà un sempre prima che lo diventi.
Parrot, oro di vita
Il canadese Maxence Parrot s’è migliorato nello Snowboard Slopestyle passando dall’argento di PyongChang all’oro di Pechino 2022 e questa è la parte sportiva e “meno importante” di una storia di grandezza esistenziale. Sì perché Max ha avuto un tumore diagnosticatogli a fine 2018 al sistema linfatico e chimato linfoma di Hodgkin. Parole schifose che richiedono ogni risorsa umana possibile e anche solo immaginabile per farci una croce sopra e tornare lassù, a far salti d’oro. Dice che è stato «surreale» e invece la sua Olimpiade è fatta di materia resistente che più dura non si può.
Valieva, il primo quadruplo
E poi c'è Kamila Valieva, che a quindici anni s'è esibita nel primo salto quadruplo di una donna ai Giochi Olimpici. Lei che è nata a Kazan nel 2006, due mesi dopo le prime olimpiche di Arianna Fontana e Ireen Wüst e già detiene i primati del mondo di corto, libero e totale. Primo capitolo della cronaca di un trionfo annunciato.