Qualcuno l'ha definito un 9 mezzo in campo, altri un artista, altri ancora il più forte italiano con un pallone fra i piedi. Per tutti, nessuno escluso, Roberto Baggio è stato il giocatore più amato del calcio italiano, quello che andavi a vedere allo stadio anche se giocava contro la tua squadra del cuore. Niente male, per un campione che è stato capace di vestire le maglie "contrapposte" di Fiorentina, Juventus, Milan e Inter.
Sono passati 19 anni da quando Roby ha lasciato il calcio, giocato e non. Era il 16 maggio 2004, la partita Milan-Brescia. Nessuno come lui è riuscito a entrare nel cuore di tutti gli appassionati di questo sport, perfino in quello di chi il calcio non lo ha mai seguito. Era il figlio di tutte le mamme d'Italia, che sbaglia, soffre e si rialza e regala al mondo sinfonie sportive. Un Mozart del rettangolo verde, un passero leggiadro con la volontà di una tigre. In una parola, anche questa presa in prestito da un poeta, Giovanni Raboni: l'imponderabile Baggio.
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Quando Baggio ha dato l'addio al calcio
Il 16 maggio di 19 anni fa il ragazzo di Caldogno dagli occhi e le ginocchia di cristallo diceva addio al calcio in un San Siro bagnato di lacrime, nonostante la festa Scudetto. Commozione e gratitudine, ammirazione e consapevolezza che di lì in avanti non sarebbe stata più domenica, per citare una celebre canzone di Cremonini. La partita era Milan-Brescia, nel giorno della festa Scudetto rossonera in casa. Il titolo è però passato in secondo piano, così come l'acquisita salvezza delle Rondinelle, al momento della sostituzione di Baggio.
Il Divin Codino esce dal campo al minuto 39, una passerella annunciata e strameritata. Il risultato è sul 2-0, per effetto dei gol di Tomasson e Shevchenko - altri tempi - ma tutti se ne dimenticano. Lo spazio-tempo si dilata, Baggio è capace anche di questo. Il "suo" Brescia, allenato da Luigi De Biasi, verrà alla fine battuto per 4 a 2 dal Milan neo campione d’Italia guidato da Carlo Ancelotti. La Storia però si compie nel primo tempo. I tifosi rossoneri non hanno dimenticato quell'impareggiabile campione che otto anni prima aveva vinto il Tricolore proprio in quello stadio, con quella maglia.
Tutto lo stadio è in piedi, le mani infrangono il muro del suono. Baggio si toglie la fascia da capitano, abbraccia Maldini e il mondo intero e si avvia verso la panchina del Brescia. Con le braccia alzate al cielo, quasi a chiedere scusa di prendere tutta quella attenzione, saluta tutti. Commosso, ma non lo dà a vedere. Non vuole mostrarsi importante, lui che importante lo è per tutti gli italiani. L'ultimo sguardo è per quel rettangolo verde che lo ha visto correre, lottare e segnare per vent'anni.
I numeri e la carriera di Roberto Baggio
Dal 10 tatuato nella memoria di tutti e su quasi ogni maglia delle squadre in cui ha giocato al 18 della parentesi al Milan e in Nazionale ai Mondiali di Francia '98. Senza dimenticare il 15 indossato nelle Notti Magiche di Italia '90. Il gol contro la Cecoslovacchia è da romanzo epico, da balletto russo, da poema stilnovista. Una corsa sulle nuvole, saltando un avversario dopo l'altro come un fantasma che passa attraverso i muri, l'ingresso in area, un passo di danza e... bum. Portiere spiazzato e Italia in visibilio. Non ci crede, Roberto Baggio, che butta la schiena e il fiato a terra portandosi le mani al volto. Eppure è tutto vero, un sogno in terra.
Ma i numeri di Baggio sono anche le statistiche della sua folgorante carriera. La poesia non si misura coi numeri, dunque non esagereremo. Basti ricordare che il Pallone d'Oro 1993, terzo italiano a vincerlo dopo Gianni Rivera e Paolo Rossi, lascia il calcio dopo 643 partite e 205 gol da professionista con i club, dall’esordio con il Vicenza all'amata Fiorentina. Poi il trasferimento alla Juventus, tra polemiche e trofei e una sciarpa viola raccolta durante un match contro la sua ex squadra. Dopo arrivano le stagioni con Milan e Inter, precedute dall'esperienza clamorosa di Bologna, che lo porta in cima alla classifica cannonieri e al Mondiale 1998 per effetto di un pato con l'allora CT Cesare Maldini. E infine la piazza di Brescia, inaspettata e pazzesca.
Vicenza
Gli undici ragazzi terribili. Così erano conosciuti i piccoletti della squadra di calcio giovanile del Caldogno, il paesino in provincia di Brescia in cui Baggio è nato e cresciuto. Agli ordini di Zenere, fornaio di notte e allenatore di giorno, il giovane Roberto tira calci al pallone anche non dovrebbe, facendo impazzire mamma Matilde e papà Fiorindo. A otto anni ha sentito che per "fare la forma" le scarpe coi tacchetti vanno indossate il più possibile. Roby le tiene su anche nel letto, di notte, squarciando le lenzuola. Anche la sua maestra elementare non ricorda altro che un Roberto vispo e vivace, inseparabile dal pallone.
Si perde il conto dei gol che segna da giovanissimo. La Lanerossi Vicenza gli mette gli occhi addosso. Il 3 giugno 1984 segna per il suo primo gol in un campionato professionistico, quello di C1, realizzando su rigore il gol del definitivo 3-0 contro il Brescia. Sì, avete letto bene. Gli dei del calcio sanno essere bizzosi. La promozione in Serie B porta anche la firma del nostro eroe, autore di 12 reti in 29 partite. Ma il calcio dà e toglie allo stesso tempo. Il 5 maggio 1985, allo stadio Romeo Neri contro i padroni di casa del Rimini guidati da Arrigo Sacchi - anche in questo caso un'anticipazione del destino - Baggio si fa male al ginocchio destro. Sarà il primo di una lunga serie di infortuni a legamenti e menisco, che lo costringe a oltre un anno di assenza dal campo. Roby festeggia la promozione dei suoi in stampelle, portato a spalla da un compagno di squadra mentre i tifosi invadono il campo. Peccato però che sia già stato acquistato dalla Fiorentina per 2,7 miliardi di lire.
Fiorentina
Baggio si presenta ai suoi nuovi tifosi in stampelle, con una sciarpa viola al collo e la voce che trema. "Cominciamo bene", pensano a Firenze. Ma l'attesa vale la pena. Esordisce in Serie A TIM il 21 settembre 1986, mandato nella mischia dal coach Eugenio Bersellini, nella sfida al Franchi contro la Sampdoria. Ma il ginocchio ripresenta il conto: il 28 settembre subisce una lesione al menisco del ginocchio destro che lo costringe a una nuova operazione. Rientra in campo a fine stagione, a distanza di quasi due anni dal primo infortunio. Il primo gol nella massima divisione arriva su punizione il 10 maggio 1987 contro il Napoli (1-1), nel giorno in cui Maradona e il Napoli festeggiano il loro primo storico Scudetto.
Nella stagione 1988-1989 è determinato a far vedere di che pasta è fatto. A Firenze arriva un allenatore svedese dalle idee innovative, Sven-Göran Eriksson. Baggio mette a segno 15 gol, formando col compianto Stefano Borgonovo un tandem d'attacco passato alla storia B2, dalle iniziali dei loro cognomi. In due realizzano 29 dei 44 gol totali messi a segno dalla formazione viola, trascinando la squadra a un settimo posto in campionato. Nello spareggio per l'accesso alla Coppa UEFA contro la Roma, Baggio fornisce l'assist per il gol della vittoria dell'ex Pruzzo che regala la qualificazione al Giglio. Nel 1988 in una casa di amici comuni del capoluogo toscano avviene uno degli incontri più importanti della vita di Baggio, forse il più importante: conosce il buddismo, che diventerà la stella maestra della sua vita da allora in avanti.
Nell'annata seguente le reti in campionato sono 17, uno in più dell'altrettanto divino Diego Armando Maradona e una in meno del capocannoniere Marco van Basten. Il 17 settembre 1989 entra nel museo della storia del calcio con quello che è forse il suo gol più bello: recupera palla a ridosso della difesa viola e punta la porta, superando uno dopo l'altro gli avversari come in un episodio di Holly e Benji. Mette a sedere anche il portiere e appoggia in rete dopo undici tocchi. Imponderabile per davvero.
Juventus
Juventus
L'ultima gara di Baggio con la Fiorentina è la finale di ritorno di Coppa UEFA (persa) contro il club che l'avrebbe acquistato di lì a poco: la Juventus. Il trasferimento fa scoppiare un'autentica rivolta con proteste in strada e atti di vandalismo. Baggio era ormai fiorentino come la cupola del Brunelleschi e Palazzo della Signoria. Il Divin Codino diventa però bianconero. Agli ordini di Gigi Maifredi segna 14 reti in campionato e 9 in Coppa delle Coppe, diventandone il capocannoniere. Nel 1991 sulla panchina bianconera si siede Giovanni Trapattoni e l'anno successivo arrivano i primi sospirati trofei.
Nella stagione 1992-1993 segna un poker contro l'Udinese, impresso a fuoco nella storia del calcio. Ma è in Coppa UEFA che il Divin Codino si toglie le soddisfazioni maggiori. In semifinale contro il Paris Saint-Germain, il numero 10 realizza una doppietta nella gara di andata finita 2-1 per i bianconeri, terminando la serata come migliore in campo. Due settimane dopo si gioca il ritorno a Parigi, ma il risultato non cambia: un gol di Baggio porta la Vecchia Signora in finale. Roby è scatenato e mette a segno un'altra doppietta nella sfida di andata contro il Borussia Dortmund. Al ritorno sforna assist, tra cui uno bellissimo per il gol di Deschamps, e la Juve si porta a casa la coppa con un 3-0. Una prestazione totale che gli vale il Pallone d'Oro e il FIFA World Player.
Nella stagione successiva comincia a essere impiegato dietro le punte, che affollano copiose il reparto offensivo bianconero: Vialli, Ravanelli e l'astro nascente Del Piero. L'arrivo di Marcello Lippi rende le cose un po' più difficili: il 4-3-3 prediletto dal tecnico viareggino costringe infatti Baggio a giocare largo. Ci si mette poi l'immancabile infortunio, stavolta patito contro il Padova il 27 novembre 1994 sempre al ginocchio destro. I gol e le prestazioni del numero 10 risultano comunque decisivi per conquistare sia lo Scudetto sia la Coppa Italia. Tra essi anche l'indimenticabile rigore contro la "sua" Fiorentina, che stavolta (a differenza di quattro anni prima) non cede a nessun altro, ma calcia e segna lui stesso, per di più festeggiando. Ma a Firenze gli si vorrà bene lo stesso, senza fallo.
Nel 1995 qualcosa si rompe o, perlomeno, si mostra già rotto. Le divergenze con Lippi, Agnelli e gli ultras portano Baggio a lasciare il nido di Torino per volare nella vicina Milano.
Milan
Berlusconi sborsa 18 miliardi di lire di indennizzo per aggiudicarsi il Divin Codino. A fine stagione, le reti di Baggio, seppur non utilizzato da Fabio Capello come vorrebbe, contribuiscono a regalare lo Scudetto ai rossoneri. In questo modo Roby diventa il quinto di sei giocatori a vincere due campionati italiani consecutivi con due squadre diverse. L'arrivo di Oscar Tabarez in panchina le cose sembrano andare meglio, ma i risultati non arrivano e, anzi, costringono il tecnico uruguaiano alle dimissioni. A guidare il Milan torna Arrigo Sacchi, col quale Baggio coltiva vecchie ruggini che risalgono al Mondiale di Usa '94, perso all'ultimo calcio di rigore proprio per errore di Roberto. Ma inutile parlarne, lo conosciamo benissimo tutti.
Fra alti e bassi, il rapporto fra allenatore e giocatore arriva alla rottura nel febbraio 1997. Baggio, stanco di essere escluso dai titolari, affida il suo sfogo ai giornalisti, criticando il tecnico. Due mesi dopo, durante un Milan-Juventus perso nettamente 1-6, Baggio non raccoglie l'invito dell'allenatore a scaldarsi per entrare in campo. Anche in questo caso, qualcosa si è irrimediabilmente rotto.
Bologna
Nell'estate 1997 sembra tutto fatto per il passaggio al Parma, ma Ancelotti non sembra convinto di poter inserire un fantasista "9 e mezzo" nel suo granitico 4-4-2. E pensare che anni dopo avrebbe cambiato idea su modulo e su campioni di qual calibro, come Kakà. Ma va bene. Baggio non cambia strada e resta in Emilia, approdando a Bologna. Il trasferimento è clamoroso: 5,5 miliardi di lire per un 30enne considerato già sul viale del tramonto. Mister Renzo Ulivieri non sembra soddisfatto, neanche lui. Qualche suo giocatore avrebbe perso il posto e lui non riesce ad accettarlo. Mette subito in chiaro le cose col campione, che "sacrifica" il suo codino come tributo a un nuovo inizio in tutto e per tutto.
Coi capelli cortissimi, Baggio si mette a disposizione della squadra. Il tecnico rossoblù lo tiene in panchina contro la Juventus e il Bologna perde. "Ma che t'ha fatto Baggio?", dirà la madre di Ulivieri al figlio, al ritorno a casa. A testimonianza dell'affetto incondizionato che la gente nutre nei confronti di quel figlio tormentato e sofferente, capace di lampi di luce che solo nelle giornate di sole sembravano possibili. Di lì in poi Baggio diventa capitano e mette il turbo, finendo la stagione con 22 gol segnati in 30 partite. La promessa fatta la CT Cesare Maldini è mantenuta: "Ti porto al Mondiale di Francia solo se vinci la classifica cannonieri". Detto, fatto.
Inter
Conclusa l'esperienza bolognese nel migliore dei modi, Baggio viene contattato dall'Inter allenato da Gigi Simoni. Nell'estate 1998 viene acquistato per 3,5 miliardi di lire. La concorrenza appare spietata: Ronaldo il Fenomeno, Zamorano, Djorkaeff. Il numero 10 però è suo, senza discussioni. Le ginocchia continuano a tormentarlo con sempre più efficacia. Il posto in campo non è assicurato, ma quando entra Baggio fa sempre la differenza anche con un movimento. A novembre una sua doppietta al Real Madrid, celeberrima e super vista su YouTube, risulta determinante per la qualificazione dell'Inter ai quarti di finale di Champions League.
L'avvicendarsi di più allenatori (Mircea Lucescu, Luciano Castellini e Roy Hodgson) e la fatica a trovare la quadra del gioco contribuiscono a una stagione deludente l'anno successivo. In una carriera segnata da corsi e ricorsi, nel 1999 Baggio assiste al ritorno in panchina di un altro suo tecnico "difficile": Marcello Lippi. La tensione si taglia con il coltello: l'allenatore millanta guai fisici come scusa per tenere fuori Baggio, ma quest'ultimo non ci sta e accusa Lippi di escluderlo dal campo per motivi personali. Il Codino, che nel frattempo è cresciuto, è però sempre Divino e Baggio contribuisce a salvare la panchina del tecnico che così duramente lo ha ostacolato.
In campionato va a segno su rigore nel 2-0 contro il Cagliari, permettendo all'Inter di ottenere il quarto posto a pari merito con il Parma. Nello spareggio Champions contro gli emiliani, segna due delle tre reti che consentono ai nerazzurri di acciuffare l'Europa. I gol sono fantastici: uno al volo da fuori area, l'altro con la solita punizione. E in porta c'era un certo Gigi Buffon.
Baggio al Brescia
Da qui siamo partiti e qui torniamo: Baggio al Brescia. Di un eroe mitologico tutti sanno tutto, inutile stare qui a ripetere. Ma la poesia del Divin Codino che prende sotto la sua ala le Rondinelle la vogliamo rileggere. Carletto Mazzone lo chiama al telefono nell'estate del 2000 mentre si allena nel giardino dietro casa con i figli, perché rimasto senza squadra dopo l'addio all'Inter. L'allenatore romano ha sentito dal presidente Corioni che la Reggina sarebbe interessata a Roby Baggio.
"Senti Robbe', ma che è 'sta storia? Che voi fa' da grande te?"
- "Mister, mi hanno chiamato dal Giappone, ma io vorrei restare qui. I miei figli vanno a scuola qui".
"Ma senti un po': verresti a giocare a Brescia?"
- "Magari mister. La ringrazio tanto, ma non so..."
"Senti Robe', io e te abbiamo chiarito. Ora chiamo il mio presidente e lo metto in contatto col tuo agente".
Il sogno è iniziato così. Baggio si presenta negli spogliatoi del Brescia e tutti sembrano aver visto la Madonna. I gemelli Filippini si danno pizzicotti a vicenda e si stropiacciano gli occhi. Non credono a tutta quella luce. Quello che segue sembra davvero un racconto epico: la prima salvezza nella storia del Brescia, i gol stupendi, la morte del difensore Vittorio Mero in un incidente stradale e la grande commozione in campo, due gravi infortuni al ginocchio che lo tengono fuori, la corsa per partecipare al Mondiale e il grande ritorno dopo soli 56 giorni dall'operazione con doppietta alla "sua" Fiorentina. Tutta Italia lo vuole al Mondiale nel 2022, ma Trapattoni lo chiama per dirgli "no". Lo avrebbe meritato e avrebbe dato una grossa mano agli azzurri, ne siamo sicuri.
Al Brescia Baggio passa ancora due stagioni meravigliose, sentendosi a casa come in pochissime altre occasioni. Il gol numero 200 arriva contro il Parma ed è un'altra perla di una collana incastonata nell'iperuranio: Baggio resta su una gamba come un fenicottero al limite dell'aria, poi fa scattare il piede e sposta la palla all'improvviso, fa due passetti e taglia il pallone col sinistro. Gol all'angolino basso, dolce dolce. I compagni si tolgono la maglia, perché sotto ci sono i complimenti al loro capitano. Baggio all'inizio neanche se ne accorge e fa il gesto dell'orecchio ai tifosi. Poi la solita reazione del ragazzo d'oro cresciuto per le vie di un paesino italiano: non ci crede, sorride, si commuove. E non si può che prendere ancora una volta in prestito le parole della poesia di Raboni, parafrasandole.
Ancora una volta in persona,
l'imponerabile
Baggio.