All’improvviso, un’ovazione. Per qualcuno (anche) una standing ovation. A inizio secondo tempo, Dybala si alza e inizia la fase di riscaldamento. Ci troviamo lì, a pochi passi. Ciò che colpisce è il suo sguardo. Anzi, i suoi sguardi, le sue occhiate: tante, tantissime verso la panchina, in particolare verso Mourinho. Quasi come a dire: “Hey, Mister: da domani proverò a vincere un torneo che si gioca ogni quattro anni, ma oggi voglio lasciare il segno”.
La Joya del ritorno
Dall’inizio del riscaldamento, era passata solo una manciata di minuti: nemmeno il tempo di accendere e avviare il motore che già era lì, a scalpitare. Poi ecco un momento apparentemente banale, ma che rafforza il concetto di quanta, incredibile voglia ci fosse nella Roma giallorossa di rivederlo disegnare calcio (l’ultima volta fu contro il Lecce il 9 ottobre, giorno dell’infortunio alla coscia): a metà riscaldamento, Paulo si avvia verso la panchina con il Torino già avanti con il gol di Linetty.
Prima di sedersi, si tocca la coscia: riceviamo parecchi messaggi da parte di colleghi in tribuna stampa, vari tifosi alle nostre spalle ci chiedono spiegazioni: il timore di un piccolo-grande contrattempo fisico era già grande e preoccupante. Invece, nulla di tutto ciò: semplicemente, Paulo si era grattato la parte posteriore della coscia. E il richiamo in panchina era dettato solo da un possibile cambio di strategia di Mou. Che poi, poco dopo, lo richiama e inserisce al 70’: “Da lì, è iniziata un’altra partita”, dirà poi il tecnico.
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Esaltazione e obiettivi
Ovazione, appunto. Dybala entra con Belotti e l’Olimpico si blocca per qualche secondo. Qualche secondo di silenzio quasi perfetto, per capire se effettivamente ci fosse proprio lui accanto al Gallo, e poi applausi e un coro dietro l’altro. Azzardiamo un confronto con il passato? Sì, proviamoci. Probabilmente, era dai tempi di Totti - comunque irraggiungibile, per vari motivi - che un giocatore non esaltasse in questo modo travolgente il mondo giallorosso. Con tutta questa incredibile voglia di vederlo (rivederlo) in campo.
Un mondo che vorrebbe di più a livello di risultati (ieri, per esempio, al momento del cambio Abraham è stato parecchio fischiato) e che dalla ripresa della Serie A TIM a gennaio si aggrapperà soprattutto alla Joya per provare a conquistare la qualificazione alla Champions League, l’obiettivo mai nascosto.
Come loro, ovviamente Mourinho. Chiarissimo, come sempre nelle interviste, nel fare capire quanto sia da tempo insostituibile. E i risultati altalenanti della squadra si spiegano anche con le sue tante assenze: 9 presenze, 5 gol e 2 assist in campionato (3 gare e 2 centri in Europa League) fanno comunque capire quanto l’argentino sia determinante. Ora non resta che augurarsi che tutto, a livello fisico, proceda senza intoppi in Qatar. E oltre, evidentemente.
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Un giocatore differente
“Dal primo giorno l’affetto della gente non è mai mancato. Oggi volevo esserci e ho lavorato tanto per questo – ha spiegato Dybala a DAZN -. Avrei voluto rientrare prima, purtroppo non è stato possibile. Avevo parlato con il Mister: sapeva che, se ci fosse stato bisogno, per me non ci sarebbero stati problemi a scendere in campo. Anche con il Mondiale imminente. Volevo aiutare la squadra”. Detto, fatto.
Con il suo ingresso, la musica è decisamente cambiata. E il gol di Matic nasce “stranamente” da una sua invenzione, con quella traversa che trema ancora. Questo è il Dybala protagonista, da prima pagina. Quello che piace a tutti, romanisti e non. Quello che gioca, diverte e si diverte. Non tutti, però, forse perché nascosto dal tettuccio della panchina, hanno potuto notare il trasporto con il quale questo ragazzo abbia seguito i primi 70’, incitato i compagni e, perché no, messo pressione all’arbitro quando è stato il caso di farlo.
Classe ’93 e con un cv lungo così, lui in primis sa che deve essere di esempio in questo gruppo che – parola di Matic (non proprio l’ultimo arrivato) – pecca in mentalità. E per capire che Dybala l’ha capito (scusate il gioco di parole) basta osservarlo. In campo, dove è uno show, ma anche fuori. Paulo non è solo fantasia, genio e tecnica: nella Roma può e deve essere molto di più. D’altronde, certe ovazioni, non sono per tutti. Per i giocatori "normali", tutto questo non c'è.