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Nella testa dell'atleta: la partita del mental coach Lorenzo Marconi

Nella testa dell'atleta: la partita del mental coach Lorenzo MarconiDAZN
Solo un mental coach può spiegare certi fallimenti sportivi, perché il suo lavoro è «Massimizzare la prova di un atleta in salute, eliminando ogni interferenza». Abbiamo intervistato Lorenzo Marconi, che è l'high performance coach di Nicolò Martinenghi e Margherita Panziera, di molti sciatori della Nazionale italiana e alcuni dei migliori giovani golfisti: «Non fornisco soluzioni, ma punti di vista in linea evolutiva e condivisa... E alla fine la scelta migliore è sempre dell’atleta».

Perché Serena Williams non ha (ancora) vinto il 24° Slam o la sua “erede naturale”, Naomi Osaka, è crollata mentalmente nel pieno della sua carriera? Perché Simone Biles o Mikaela Shiffrin hanno fallito i loro appuntamenti olimpici con la storia, ormai giunte al traguardo del mito eterno? Facile dar colpa alla testa, difficilissimo spiegarne i motivi. Ragioni che solo un mental coach sa discutere a fondo, anche se la sua giustissima deontologia non gli concederà di far nomi.

Nelle sue vite precedenti, Lorenzo Marconi è stato un analista finanziario e un navigatore di rally, ha partecipato a gare di resistenza a cavallo, fondato e diretto società imprenditoriali. Porta il suo bagaglio emotivo e professionale nel mestiere dell’high permormance coach, cosciente dei rischi vitali, sportivi e talora fisici che i suoi atleti avvertono sotto pressione. Lo fa per credo, con la pelle e il cuore al servizio del corpo e della mente.

Intervista a Lorenzo Marconi High Performance Coach

«Non faccio vincere e non faccio perdere. All'atleta mi lega una partnership di responsabilità reciproche sulla base di un accordo professionale, ma anche e specialmente emotivo. Il cattivo mental coach crea dipendenza, io invece voglio un atleta libero di scegliere, supportato dal mio lavoro per la massimizzazione di una performance in salute. Ecco, se mi chiedi una definizione, il mental coach è un creatore di benessere perché prima di eseguire la sua performance, l’atleta deve stare bene senza interferenze».

I primi nomi fatti sono quelli di enormi campionesse, ma l’atleta supportato da un performance coach non ha età o non è solo il famoso professionista. Anzi, il lavoro sui giovani è pure più prezioso e di certo più responsabile, perché « Se un atleta adulto è una casa da ricostruire sulle fondamenta - spiega Marconi - il giovane è invece un cantiere aperto di costruzione mentale, che avrà un intrinseco valore educativo . Per questo con il giovane hai responsabilità anche maggiori: perché si possono fare grandi danni».

Lorenzo Marconi, High Performance Coach

La risorsa del campione, il valore del giovane atleta

I focus di un mental coach si chiamano processo e prestazione, così il risultato sportivo è la cosa che importa meno e insieme una naturale conseguenza. All’atleta sono richieste volontà e concentrazione come basi fondamentali e come nella frase di Zdenek Zeman: “Il risultato può essere casuale, una grande prestazione mai” . Di fatto, un mental coach non si mette al collo medaglie al merito, fra schiacciamento dell’ego e una naturale propensione alla democrazia dello sport:

«Non ho atleti di serie a o serie b - spiega Lorenzo Marconi - perché il metodo è lo stesso per tutti, per il grande atleta con tutte le sue risorse o il potenziale campione dalle difficoltà attentive: ciò che cambia è la declinazione del mio lavoro, con una differenza metodica d’approccio. Il grande campione va gestito, certe volte potenziato, certe altre smussato nei suoi stati d’esaltazione. Spesso l’atleta affermato, come i trade finanziari, ha una volatilità enorme di picchi e deviazioni senza mezze misure: “Se vinco sono un grande, se perdo sono un fallito”. Il giovane va invece forgiato, educato e valorizzato . Il lavoro è su misura della persona, anzi l’unica differenza è di genere perché se la donna ha un sistema di ragionamento più complesso e richieste molto più specifiche, l’uomo è invece più basico e diretto, perciò l’atleta donna richiede una certa maggiore finezza, mentre con l’atleta uomo puoi essere tendenzialmente più provocativo».

Alessia Pavese nei 200 metri piani dei Campionati italiani di atletica 2021.

Mental Coaching: una performance su basi sane

Il mestiere del mental coach è relativamente recente e da pochi anni si parla e si discute di un lavoro divenuto fondamentale per la mente di un atleta. Pro e contro, come l’inflazione di certi giornalisti che sentenziano ogni sconfitta come un problema di testa , anche quando la causa è di tutt’altra natura. Anche se è un bene che finalmente la stampa e i media parlino di mental coaching come di “un lavoro vero” e finalmente affrancato.

«Sì, oggi non siamo più gli stregoni che bollono le zampe di galline - commenta un po’ scherzoso Lorenzo Marconi - ma quando la testa diventa un luogo comune, allora se ne parla a sproposito . La verità è che quando abbiamo iniziato a fare mental coaching, ci cercavano solo “atleti disperati”. Oggi invece l’atleta lavora con un mental coach per migliorare la propria performance da una base sana, scevro da particolari problematiche. Non siamo più l’ultima spiaggia di atleti alla canna del gas. E quando gli atleti vengono di spontanea volontà, ottengono risultati molto più rapidamente, con piena dedizione. Mentre chi viene mandato da un allenatore o da un genitore, fa spesso più fatica per mancanza di voglia o consapevolezza».

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Leclerc, Rossi, Woods e l"ideale dell'atleta intelligente"

Alla fine un nome non dei “suoi” glie lo strappiamo anche, perché Charles Leclerc è il frutto squisito del lavoro iniziato da un mental coach quando il ferrarista aveva quattordici anni : «Premesso che lavorare con un pilota riflette per noi un’estrema e bellissima sfida, Leclerc è perfetto: quando guida e quando parla, al volante e nel paddock, a un gala o in conferenza stampa». Faccio l’avvocato del diavolo e chiedo al dottor Marconi quanto influiscano sui comportamenti e certe scelte extra-automobilistiche le bravure intellettuali di un ragazzo così brillante e raffinato. Facile, mi risponde, «L’atleta ideale è intelligente. Anzi, se proprio devo dirtelo, è orfano e intelligente! (ride, ndr)».

É un concetto forte e giustissimo, che nella sua “parte orfana” non esclude le splendide eccezioni di Valentino Rossi, che ha ereditato la sua “vita a motore” da un papà scaltro come Graziano (di cui Marconi è stato navigatore nei rally) e distrutto mentalmente tre generazioni di piloti. Di Tiger Woods, formato da un padre ex-Navy Seal… E praticando l’autoipnosi dall’età di tredici anni . Sfruttando il suo “vantaggio parentale”, oltre a un immenso talento, per lavorare sulla sua parte inconscia.

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Passion 4 Golf e il talento del "non pensare"

Il golf è uno sport di situazione dilatato nel tempo, con pochi minuti effettivi in ore di gioco: qui subentra l’importanza del modello on/off e la necessità del “non pensare”, perché troppa testa fa interferenza. Il golfista deve resistere a lungo prendendo le distanze dal suo pensiero: imparare a gestire una forma di distacco.

Un amore epidermico, quello di Lorenzo Marconi per il golf, esteso alla crescita dei giovani grazie a un gruppo d’investitori e attraverso la piattaforma di crowdfunding The Best Equity per la nascita di una carriera . Anzi quattro, perché il progetto Passion 4 è un piano a lungo termine di sviluppo del talento (Edoardo Lipparelli, Giacomo Fortini, Stefano Ciapparelli e Michele Ortolani sono i nomi dei golfisti) in uno sport che richiede notevoli risorse finanziarie, ma soprattutto  capitali umani di sostegno tecnico ed esercizio mentale .

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«Il golf ha affinità sportive e sociali col tennis, ma non tutte: nel tennis ci sono altre interferenze, la fatica e l’avversario diretto , ma parafrasando Tim Gallwey (riconosciuto fra i padri del Coaching, ndr), la partita più difficile in tutti gli sport è quella che si gioca nella testa dell’atleta . Guardare lo sport pensando “Se lui avesse un mental coach”, ammetto che è il mio divertimento. Lo troverai sadico, ma la mimica dei tennisti fra i punti, i classici occhi del calciatore che sta sbagliando un rigore, le facce degli sciatori ai cancelletti di partenza… Gli aspetti comportamentali degli atleti sono materia di studio incessante, basilare e per noi assolutamente necessario».

mente-corpo-sci

Ma cosa dovrebbe farsene uno sciatore del mental coach? Lui che è l’espressione più carnale e diretta di potenza fisica, dote tecnica ed energia temeraria? Giù dalla Streif di Kitzbühel dovrebbero contare solo forza e coraggio. E invece…

«E invece lo sci è uno sport atmosferico di variabili come la neve o la condizione assolutamente soggettiva del tracciato. C’è il rischio di farsi male e sono tutte incognite e paure da saper gestire al meglio. La massima ambizione di un mental coach nello sci è l’allineamento diretto mente-corpo-attrezzo: un lavoro bello, complesso e inconscio, ma nemmeno questo grande compimento potrà bastare a vincere. Il valore di un percorso in linea evolutiva è fatto, perché no, di alti e bassi, di fiducia e mutamenti. Con loro miglioro anch’io e ogni volta che faccio una coaching vivo un’esperienza, nutrendomene a fondo».

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La scelta migliore è sempre dell'atleta

Lorenzo Marconi è il mental coach di molti atleti che l’hanno scelto per massimizzare le loro performance, non solo sportive. Fra loro ci sono i nuotatori Nicolò Martinenghi , campione europeo dei 100 metri rana in vasca corta con due medaglie di bronzo olimpiche a Tokyo 2020, e Margherita Panziera campionessa europea in carica dei 200 dorso; diversi sciatori della Nazionale italiana fra cui Elena Curtoni, Mattia Casse, Tommaso Sala, Serena Viviani Roberta Melesi ; il lunghista Filippo Randazzo, la velocista Alessia Pavese e la sprinter Eloisa Coiro. Poi ci sono i giovani: quelli in cui crede fedelmente, che pochi conoscono e di cui presto si sentirà parlare.

«Non fornisco soluzioni ma punti di vista, stimoli, provocazioni positive contro convinzioni diventate forme di pensiero, che si traducono in stati d’animo e generano comportamenti. E alla fine la scelta migliore è sempre dell’atleta».

Che vinca o perda, ma di mente sana in corpo sano.

Nicolò Martinenghi, medaglia di bronzo dei 100 rana ai Giochi Olimpici di Tokyo 2020