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Tour de France

Cronache Gialle di Hugo Houle in fuga al Tour per il fratello ucciso

Cronache Gialle di Hugo Houle in fuga al Tour per il fratello uccisoDAZN

È un Tour de France che strappa lacrime fin dalle sue tappe danesi: la prima maglia gialla di Yves Lampaert gregario figlio di un contadino fiammingo, il primo successo alla Grande Boucle di Fabio Jakobsen sopravvissuto e felice, quello del suo cattivo (e redento) Dylan Groenewegen. E certi giorni dopo, alle pendici dei Pirenei che decideranno il Tour, Hugo Houle taglia il traguardo di Foix indicando il cielo.

Ormai lo fanno tutti? Vero, solo che lui lassù sta cercando il fratello Pierrick, ucciso dieci anni fa mentre correva per strada, travolto da un autista ubriaco. La mattina della vigilia di Natale…

«Quel giorno ero appena tornato dal mio primo stage coi professionisti - ha detto ieri Hugo, commosso all’arrivo - e l'ho perso. Era uscito a correre e non è più tornato, travolto da un automobilista che scappò. Abbiamo iniziato a cercarlo con la mia famiglia, lo trovammo, gli ho preso la mano e ho capito che era morto. Poi la polizia ha trovato il colpevole. Ho elaborato diverse fasi del lutto, ma lui è sempre stato una motivazione per me, per realizzare quel sogno un po' folle di lavorare per strada: il posto che l'ha ucciso. Mio fratello era il mio più grande tifoso e l'ho fatto solo per lui: per questo oggi ho provato un'emozione incredibile. Sono certo che mi ha aiutato a esser solo all’arrivo per godermelo di più, perché ho avuto il tempo di pensarlo, di festeggiare insieme, di alzare le braccia verso di lui. Con lui da bambino guardavo il Tour in televisione, passavamo così interi pomeriggi d’estate. Se avessi potuto scrivere una sceneggiatura su una mia vittoria, sarebbe stata questa».

A trentun anni, il canadese Hugo Houle non aveva mai vinto una corsa in linea da professionista. Ieri è andato in fuga per la sedicesima tappa del Tour de France. Se ancora non vi siete un po’ commossi, non lo voglio nemmeno sapere. 

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Così siam giunti sugli onesti Pirenei nel senso che, come scrisse il critico letterario John Sturrock, «si potrebbe dire che sono la versione democratica delle Alpi». Spiegatelo ai martiri che oggi scaleranno il Col d'Aspin, l'Hourquette d'Ancizan, il Col de Val Louron-Azet e la lunga salita finale verso Peyragudes.

Ieri Tadej Pogacar s’è voltato un paio di volte per scrollarsi di dosso la maglia gialla, macché: Jonas Vingegaard s’è attaccato saldo alla sua pancia. Ricordate quando Pogacar era leader e gli scattava in faccia per entrargli in mente? Nient’affatto, la maglia gialla di Vingegaard è fatta di un altro tessuto: niente giochetti, poca forma, molta sostanza. “Se vuoi attaccarmi ancora e un’altra volta ancora, bada a non sgretolarti le gambe: io sarò sempre qui. If you walk away, walk away, i will follow”. Chissà se al giovane Jonas piacciono gli U2, chissà se qualcuno gli ha fatto ascoltare quelli che, giovanissimi, facevano quel bellissimo post-punk.

E nei giorni del post-Pogacar, Tadej s’è stampato in faccia un sorriso, in bici a denti stretti con una pinna tra i capelli. Insolente e disinvolto, lo sloveno sta scoprendo un altro volto del Tour de France, passando dall'onnipotenza all'impotenza. Ma è ancora lunga.

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