«Ho avuto dubbi ogni giorno della mia vita sportiva. I dubbi sono la mia più grande fonte di miglioramento». Nadal disse queste parole nel 2017 con la nuova maturità dei trent’anni, stringendo forte la sua decima Coppa dei Moschettieri.
Passati cinque, i suoi titoli del Roland Garros sono diventati 14, quattordici, QUATTORDICI. Dal primo coi capelli lunghi, la maglia smanicata e un destino di grandezza, all’ultimo da leggenda vivente.
Solo Nadal: una finale annunciata
Dopo i cinque set con Auger Aliassime, la battaglia con Djokovic e le oltre tre ore di tennis di logoramento con Zverev, la finale è stata il match più facile della settimana per Nadal. Perché se Casper Ruud dispone di ottimi colpi da specialista - ma è troppo prevedibile di rovescio e gli manca il cambio lungolinea - Rafa li gioca tutti meglio: più precisi, più arrotati, più pesanti.
Se il tennis rosso di Ruud, che a ventitré anni ha comunque già vinto 7 tornei su questa superficie, è notabile, quello di Nadal a Parigi è fenomenale, assordante, magnifico e brutale, per sempre insuperabile. E così, alla sua prima finale Slam contro il padrone dell’accademia in cui s’allena, Ruud ha giocato bene il primo set e molto bene il secondo fino a 3-1, poi non ha più vinto un game sgretolandosi sotto i colpi fatali.
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14 Moschettieri: una magnifica ossessione
Nel dubbio vitale del suo ultimo Roland Garros per i noti dolori al piede, re Rafael s’è ripreso il suo trono naturale perché no, la sua immensa espansione francese non poteva, non doveva esser fermata da Djokovic. Così Nadal ha rifiutato la normalità, rigettato il passato, previsto un presente e desiderato il futuro. Lui che è stato l’uomo della rinascita e dell’impresa straordinaria, l’atleta sovrumano che travolge l'età e la fisica. E da sempre bacia Parigi con la passione degli dei.
Sì, questa coppa dei Moschettieri è la sua magnifica ossessione e sul palco ogni volta si capisce quanto quella coppa, da come sorride e si commuove, gli fosse mancata. Ogni volta è come se il tempo si fermasse e ci sono i suoi muscoli che brillano al sole, le gambe più veloci del suono, il grido di battaglia sul top-spin distruttivo. Padrone di un tennis sempre più rovescio, completo e mutevole, Nadal marcia verso la rete per un’altra stupenda volée e un altro trionfo sulle note d’una danza marziale.
La forza del dubbio
In questi giorni, pensando a una sua ultima partita al Roland Garros alla vigilia di Djokovic, ovvero cibandosi insaziabile della sua paura, ha fatto scrivere di tutto sui giornalini. Che non giocherà a Wimbledon e che un gran salone del Bois de Boulogne era già stato riservato per l’annuncio del suo ritiro. Che c’era pure Federer in arrivo a Parigi su invito di Rafa per non mancare all’ultima festa.
Tutte balle. Anzi, è più che lecito credere che non giocherà a Wimbledon, ma Nadal continuerà a lottare con lo stesso dubbio esistenziale che aveva prima di vincere 112 partite su 115 disputate al Roland Garros, ovvero il 92% dei match giocati su terra nell’era di Djokovic e Nadal. Il bellissimo dubbio del 22° Slam e di quello che verrà.