Se del tennis Daniil Medvedev è un presente concreto che avrà molto futuro, Rafael Nadal ne è passato glorioso, cronaca vincente e mito eterno. E il suo Australian Open è fatto d’un quinto elemento, etereo e indistruttibile. È scolpito nella materia dei sogni.
Nella carriera immensa di Rafael Nadal c’è stata solo una partita più epica di questa finale australe ed è datata 6 luglio 2008: era la finale di Wimbledon che ha riscritto in cinque set la storia dello sport moderno. Fu poesia in movimento ed eleganza brutale: una sfida esemplare di talento e forza. Fu Federer e Nadal tra chi ha fatto dell’arte di giocare a tennis un’invenzione costante e il più straordinario esemplare di corpo/atleta che il mondo abbia mai visto. Svelarono una magnifica estetica di pienezza espressiva, accogliendoci nel loro spazio emozionale, cambiandoci per sempre.
Era il 2008 e a Wimbledon Rafa Nadal vinse il suo quinto major. Sono passati quattordici anni e oggi i suoi Slam sono diventati 21 come nessuno mai. Quattordici anni di trionfi planetari da Parigi capitale del regno, epicentro d'una terra che trema sotto i colpi in top-spin e le urla marziali del Grand Diable. Quattordici anni critici ed evolutivi. Quattordici anni di tennis sublime, giorni tristi e felici di sfide epocali e magnifiche imprese.
In finale all’Australian Open, Nadal batté Federer al quinto set nel 2009 e poi ne perse quattro: la più lunga di sempre contro Djokovic nel 2012 dopo 5 ore e 53 minuti; la più impotente e sfortunata contro Stan Wawrinka nel 2014; quella storica del 2017 contro Federer e l’ultima nel 2019, la più netta, ancora con Djokovic. Aver vinto oggi la prima finale Slam rimontata nella storia da 2 set a zero (2-6, 6-7, 6-4, 6-4, 7-5 dopo 5 ore e 24 minuti) lo consegna all’eternità, a quel cielo empireo dove si perdon le parole poiché vige l’ineffabile.
Eppure si deve scrivere e riscrivere l’esaltazione dell’uomo caduto sulla terra che ancora, a trentacinque anni, risorge come una fenice. Che è un mito della resistenza, simbolo di metodo e riserbo, storia di chi vince a Melbourne il suo ventunesimo titolo Slam a diciassette anni dal primo dei suoi 13 Roland Garros. Di chi ha rifiutato l’insostenibile difetto della normalità. Di chi è afflitto da una displasia del piede e a settembre camminava in stampelle con la gamba ingessata. Di chi mancava da sei mesi ed è venuto fin qui a fare i suoi miracoli, imbattuto dopo undici match australi.
Di chi da oggi ha vinto più Slam di Djokovic, che di questo Australian Open sarà un infelice ritratto con assenza. Di chi ha vinto più di Federer, che ha preso la materia nera di Nadal per restituirla alla luce, e Rafa ricambiò facendone un eroe romantico. Questi tre che del tennis di questo secolo saranno campioni infiniti e ancora si sfideranno per un primato storico. E noi saremo ancora lì seduti ad ascoltare quel rumore gettato dalle corde. Il suono dolce e tagliente della magnifica pienezza. Senza scegliere il migliore del nostro tempo.