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Up&Downs: cosa ci ha lasciato la Week 9 di NFL

Alessandro Tarallo
Up&Downs: cosa ci ha lasciato la Week 9 di NFLDAZN

Torna la rubrica settimanale di DAZN per fare il punto sulla week appena terminata. “Solo” 13 partite disputate ma tanti temi da trattare ed analizzare, sia in campo che fuori. Proviamo quindi a fare un po’ di ordine con gli up&downs della week 9.

Jeff SaturdayGetty

Lost in the Sauce

Bills contro Jets. Ovvero l’attacco migliore della NFL contro una squadra sì sorprendente, ma ridimensionatasi un bel po’ dopo la sconfitta con i Patriots e la perdita di Breece Hall. Vittoria comoda di Buffalo, giusto? E invece...

I New York Jets fuggono da qualsiasi logica e così è stato anche stavolta: 20-17 e aggancio al primo posto della AFC East. I dubbi su Zach Wilson sono sempre lì, risolti in piccola parte, perché ancora una volta è stata la difesa a risultare decisiva nella vittoria dei verdi. Niente blitz, solo quattro uomini in pressione, portando un’energia che ha finito per travolgere anche Josh Allen (39 dropback e 5 sack subiti, “record” in stagione).

Alla linea offensiva poi si aggiunge la copertura nel downfield e qui la salsa ce la mette Sauce Gardner. L’hype era tanta ma il ragazzo la sta ripagando tutta, dimostrando di non avere solo l’attitudine ma anche il talento per essere una star: sono già in molti i ricevitori ad essere finiti “Lost in the Sauce” (guida la Lega per passaggi difesi). È lui il volto di una difesa che fin qui ha guidato i Jets alla settimana di bye con un record di 6-3. In piena playoff contention... stiamo parlando dei Jets, aspettiamoci di tutto.

Sauce GardnerGetty

Tom Brady still got it

Tre settimane fa Brady e i Bucs erano in discesa, tra i “downs” di questa rubrica. Non possiamo (ancora) dire che la vittoria contro i Rams (dopo 3 sconfitte di fila) sia stato il successo della svolta; certamente ci ha dimostrato che zio Tom è ancora capace, anche a 45 anni, di guidare la sua squadra al successo nel drive decisivo. 44 secondi, 0 timeout: sono bastati 7 snap per il 55° game-winning drive della carriera di Brady.

Con buona complicità dei Rams (proprio quei Rams che agli ultimi playoff lo avevano beffato in extremis). Perché lasciare così tanti lanci nel corto-medio, agevolando le traiettorie laterali, non è la scelta ideale con così poco tempo, ancor meno contro una squadra con tante armi. Condanna scritta, invece, contro Tom Brady. La vittoria dei Bucs, come dicevamo, non è garanzia di un cambio di rotta, ma nella NFC South il 4-5 è intanto abbastanza per prendersi la testa della division. E lo sarà probabilmente anche per mantenerla: Tampa Bay ha un roster comunque valido, ben più dell’attuale record negativo, ma soprattutto, rispetto alle concorrenti, ha un QB capace, anche a 45 anni, di guidare la sua squadra al successo. Anche con soli 44 secondi sul cronometro e 0 timeout.

Tom Brady quarterback dei BucsGetty

God save Aaron Rodgers

Se Brady era tra i “downs” tre settimane fa, a fargli compagnia era Aaron Rodgers. Che ritroviamo ancora qui. La sua stagione sta assumendo contorni paradossali, con cinque sconfitte consecutive e i playoff che sembrano sempre più un miraggio. Il 15-9 contro i Lions è stato solo l’ultima dimostrazione di una squadra allo sbando (27° attacco della Lega) e di un Rodgers in difficoltà (a dir poco...): 3 INT, di cui 2 in red zone, frutto di brutti lanci, e ancor peggio di brutte scelte. Frutto anche dell’assenza di ricevitori, tormentone che dura ormai da tanto, troppo tempo, e che torna ogni volta prepotentemente in auge in casa Green Bay.

La trade deadline è passata e, che novità, i Packers non hanno portato a casa nessun WR. Anzi, a posteriori suonano pure beffarde le varie info degli insider secondo cui il front office avrebbe fatto di tutto per arrivare ai vari D.J. Moore, Darren Waller e Chase Claypool. Senza riuscirci, ovviamente. Solo un’attenuante, però, perché Rodgers, come già capitato in passato, non fa nulla per nascondere i problemi della sua squadra ma anzi, sembra quasi volerli accentuare. Solo poche settimane fa diceva “chi commette troppi errori non dovrebbe giocare”. Ecco, e se fosse proprio l’MVP della scorsa stagione?

Aaron Rodgers quarterback Green Bay PackersGetty

A Las Vegas non c’è affatto il sole

Eh no, non tira una bella aria a Las Vegas. Le premesse di inizio stagione sono un lontano, lontanissimo ricordo, perse dietro l’hype della ritrovata connection Carr-Adams, come ai tempi di Fresno State. Non poteva bastare per rendere una contender una squadra con seri problemi strutturali, certamente però nemmeno farla diventare una delle peggiori di questa stagione.

I numeri sono stati impietosi, anche domenica, contro i Jaguars: i Raiders sono andati sul 17-0, facendo sembrare solo un brutto inciampo la sconfitta per 24-0 contro i Saints della settimana precedente; la realtà li ha poi riportati sulla terra: finale 27-20 per Jacksonville. Un blackout diventato ormai consuetudine, perché è la terza volta in stagione che i Raiders sciupano un tale margine. Grave, e molto, per una squadra partita con ben altre ambizioni nella competitiva AFC West. Consuetudine soprattutto per Josh McDaniels, che dopo aver chiuso l’esperienza a Denver perdendo 7 delle ultime 8 partite, ha cominciato la nuova avventura perdendone 6 su 8. Nuovo flop in arrivo?

Joseph McDaniels Las Vegas RaidersGetty

Saturday Night Fever

“So per certo come costruire una squadra di football”, parola di Jim Irsay, proprietario dei Colts. Fin qui nulla di strano, nonostante il 3-5-1 della squadra di Indianapolis, sconfitta 26-3 in modo a dir poco imbarazzante dai Patriots. Il KO è costato il posto a Frank Reich, e anche qui nulla di strano, succede all’interno di una stagione, è il destino degli allenatori. Il punto è il suo sostituto: Jeff Saturday. Sì, proprio l’analista (a questo punto ex) di ESPN, ex centro proprio dei Colts.

Esperienze di Saturday da head coach? Zero, ma “è pienamente capace (anzi, “more than capable”) di allenare una squadra”, parola di Jim Irsay, sempre lui. Al punto da aggiungere: “Non c’erano altri candidati e non so cosa avremmo fatto se non fosse stato disponibile”. La scelta ha ovviamente fatto discutere (pare che lo stesso Saturday abbia detto al primo incontro: “Perché state considerando proprio me per il ruolo?”), e soprattutto ha riportato a galla il vecchio tema della trasparenza nell’assunzione degli head coach e della considerazione delle minoranze per tali ruoli. In questo caso si tratta di una posizione ad-interim, e quindi i Colts non sono obbligati a dimostrare nulla, ma dovranno farlo in caso di promozione a tempo indeterminato. Cosa succederà?