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Basket

È il draft di Bronny James: quanto vale il figlio di LeBron e chi può sceglierlo

Riccardo Pratesi
È il draft di Bronny James: quanto vale il figlio di LeBron e chi può sceglierloN/A

È il prospetto più discusso del Draft 2024. Più dei candidati alla prima scelta. Eppure le sue medie al college, dove ha giocato solo per una stagione, e da riserva, sono di appena 4.8 punti per partita - tirando col 36% dal campo e il 26% da 3 punti - poco meno di 3 rimbalzi, poco più di 2 assist per partita. Di chi parliamo? Domanda facile, risposta scontata. Di Bronny James, naturalmente. Sì, del figlio di quel James, di LeBron. Che sarà probabilmente selezionato al secondo giro da una franchigia Nba. Ma che in un Draft senza superstar - quello del 26-27 giugno - da figlio d’arte, raccomandato, storia romantica di padre e figlio presto nella stessa lega, la versione che preferite sceglietela voi, s’è guadagnato la vetrina dei siti sportivi d’America.  Le misurazioni alla Combine non gli hanno fatto piaceri. 187 centimetri, basso come guardia tiratrice e senza le doti da passatore per giocare regista. Il paragone di prospettiva, considerando almeno un anno di apprendistato, è con Miles McBride che porta energia, difesa e punti in uscita dalla panchina Knicks.

Toglietevi dalla testa le comparazioni col padre, di LeBron ce n’è uno. Non gli somiglia, il paragone sarebbe ingeneroso per chiunque. Bronny sarà visto con diffidenza nello spogliatoio della squadra che gli farà firmare un contratto, l’etichetta da raccomandato pesa. Non l’ha chiesta lui, il padre e le circostanze gli offrono vantaggi e svantaggi che lo scavalcano. Lui domanda solo un’opportunità da provare a sfruttare. Legittimo, nel Paese delle grandi opportunità. I Lakers, che hanno le chiamate 17 e 55, tra le 58 del Draft 2024. Più probabile la seconda della prima. Bronny ha fatto il provino con Los Angeles e coi Phoenix Suns, che hanno la 22. La Klutch non ha permesso ad altri di visionarlo, ma Paul ha dichiarato che Minnesota, Dallas e Toronto sono interessate. La Klutch pretende che Bronny, 20° miglior prospetto dei licei d’America all’ultimo anno per Espn, la tv dello sport, sia inserito in un organico Nba. Non accetterà un contratto a metà con una squadra di G-League. Bronny può rischiare di non essere draftato? Non è impossibile, ma improbabile. Nonostante i limiti tecnici e atletici.  Perché poi c’è l’altra faccia della medaglia.

Se si chiamasse Joe Smith e non fosse figlio di papà, Bronny farebbe fatica a trovare un college d’élite deciso a offrirgli un posto da titolare. E a trovare un ingaggio in Europa in un campionato di primo livello. Eppure la curiosità degli appassionati di vedere all’opera il primogenito di LeBron cresce. Di fianco oppure contrapposto al 39enne padre, stella dei Los Angeles Lakers, uno dei migliori giocatori di basket di sempre. Il vantaggio di marketing di Bronny rispetto a ogni altro prospetto del Draft è indubbio. Bronny attira l’attenzione, farà vendere biglietti. In America conta quanto avere un buon tiro e dispensare assist. E pazienza se la meritocrazia è scavalcata a discapito di un altro ragazzo che ha lavorato per tutta l’adolescenza per guadagnare un posto in Nba. LeBron a favore del pargolo schiera non solo la notorietà, ma pure Klutch Sport, l’agenzia di giocatori più potente. Gestita da Rich Paul, inventato da James che su Klutch ha potere sostanziale.

Fare un favore a chi ha come clienti giocatori di primo livello può convenire a tante franchigie. Un piccolo piacere, magari sotto forma di una chiamata di secondo giro che costa poco in caso di scelta sbagliata, per riceverne di più rilevanti in futuro. Le regole dello show business. Spietate, ingiuste, ma esistono da una vita. C’è di più. LeBron è in scadenza di contratto coi Lakers, ha tempo sino al 29 giugno per esercitare l’opzione di rinnovo per la prossima stagione, da oltre 51 milioni di dollari. Volete che non utilizzi la situazione come incentivo per la dirigenza Lakers, sollecitandola a draftare il pupo?  Tutto male sin dall’inizio. A partire da quanto capitatogli durante un allenamento il 24 luglio 2023. Bronny allora era collassato, soffrendo un arresto cardiaco che aveva messo paura a tutti. Ma recuperando presto. Il 10 dicembre aveva poi esordito per Usc, contro Long Beach State.

Vista con questa prospettiva la storia di Bronny è comunque a lieto fine: il ragazzo se l’è vista brutta e non solo è saputo tornare sul parquet, quando con quella famiglia agiata avrebbe potuto dedicarsi ad altro, ma ha insistito sino a coronare il sogno di diventare un giocatore Nba. Però quanto di questa storia è contenuto da Libro Cuore, o hollywoodiano vista l’ambientazione da cinema - il papà è produttore del grande schermo nella città degli angeli e chissà che prima o poi non esca un film a tema – e quanto è invece forzato da una sceneggiatura pianificata a tavolino? Clamoroso e fragoroso. Imprevisto, così. Nessuno pretendeva la luna: l’aspettativa ragionevole era che si rivelasse un buon prospetto da lavori in corso con un lungo cammino di sviluppo davanti e dolori di crescita impliciti. Invece è andata molto peggio. A Southern California, l’ateneo di Los Angeles con tradizione di football americano, Bronny, 19 anni, guardia dei Trojans, ha giocato appena 19.4 minuti per partita, partendo titolare solo 6 volte. Giocando male, poco da girarci intorno. Tirando malissimo. Per una squadra che ha disputato una stagione disastrosa, da 15 vittorie e 18 sconfitte, costata il posto all’allenatore. Bronny anche nel caso in cui non si fosse dichiarato eleggibile per la Nba e avesse prolungato l’esperienza da studente-atleta, l’avrebbe fatto altrove: aveva richiesto il trasferimento. A Usc gli è andato tutto male.

Fonte: Gazzetta.it