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Calcio

Ancelotti-Guardiola, la sfida infinita: i due guru non sono poi così diversi, e vi diciamo perché

Filippo Maria RIcci
Ancelotti-Guardiola, la sfida infinita: i due guru non sono poi così diversi, e vi diciamo perchéN/A
Di nuovo di fronte, dentro o fuori. Carlo Ancelotti e Pep Guardiola, 10 Champions vinte tra campo e panchina, i due con più partite nella competizione, 226 a 222, gli allenatori con più semifinali, 9 e 10. Due uomini diversi con tanti punti in comune tra vita, campo, modelli e passioni. Il trait-d’union più evidente è quel senso di internazionalità, quella inarrestabile curiosità per la vita e per il mondo che li ha portati in giro per l’Europa (e Pep anche un po’ più in là nel finale della carriera di giocatore). L’Italia, la Spagna, l’Inghilterra e la Germania. "Se mi avessero detto che sarei andato in Germania e avrei imparato il tedesco mi sarei messo a ridere", ha raccontato Guardiola in un incontro con Ancelotti e Sacchi al Festival dello Sport della Gazzetta nel 2018, e Ancelotti, di rimando: "Lascia stare va", e tutti a ridere. Lingue, culture, calci diversi. Carlo e Pep si sono voluti misurare, hanno voluto sfidare e mettersi alla prova. Anche per questo sono stati seri candidati alla sempre autarchica panchina del Brasile. Abbiamo citato Arrigo Sacchi. Che è stato il mentore di Ancelotti e ha illuminato Pep, allievo di Cruijff ma ammiratore del tecnico di Fusignano, folgorato dal famoso 5-0 del Milan al Real ottenuto con Ancelotti in campo un 19 aprile 1989 e replicato da Pep contro Mourinho nel novembre 2010. Partite storiche. Ma c’è un altro italiano che ha segnato Guardiola ed era ammirato da Ancelotti: il compianto Carlo Mazzone. Quello del Pirlo davanti alla difesa, idea lanciata dal primo Carlo e fatta propria dal secondo. Siamo a Brescia, dove Guardiola atterrò spaesato e curioso e si trovò di fronte Mazzone che per prima cosa gli disse: "Io non ti volevo". Partenza in salita, poi fu grande amore. E qui scaliamo su un altro punto di contatto, restando in ambito sentimentale: il Piccolo Grande Amore per Roma e la Roma, con il dovuto rispetto per Milan e Barça, passioni di una vita. La romanità di Mazzone ha conquistato il catalano Guardiola, l’emiliano Ancelotti prova ancora grande piacere nell’esprimersi con accento romano. Carlo a Roma è stato re, Pep si è innamorato del ristorante pasoliniano Pommidoro, tra stornelli da ascoltare e olii da provare nella magica atmosfera del quartiere San Lorenzo. Perché Carlo e Pep sono persone semplici, cresciute in ambienti modesti e partiti dalla gavetta: Ancelotti in B con la Reggiana e una striscia di partite senza vittorie che poteva troncare sul nascere una carriera incredibile, Guardiola addirittura in Tercera, la quarta serie spagnola, col Barça B portato alla vittoria con un manipolo di canterani sbarbati in un campionato di vecchi marpioni che giocavano per vivere. In questi anni di peregrinazioni europee Carlo e Pep si sono imbattuti in un grande rivale, Jurgen Klopp, e hanno contribuito alla formazione di quello che oggi è il rappresentante numero uno della nouvelle vague delle panchine, Xabi Alonso. Il tedesco è stato avversario di Ancelotti in Europa e nel derby della Mersey a Liverpool, mentre per Guardiola ha sostituito la grande rivalità con Mourinho. Scontri meno acidi verbalmente ma assoluti tatticamente che sono ancora in corso visto questo incredibile finale di Premier League. Il basco, pupillo e pretoriano di Mou, in Baviera è andato a lezione da Pep e da Carlo: è stato un allievo modello ed ora è pronto a sfidare i maestri. Che però non hanno intenzione di mollare lo scettro. Real Madrid e Manchester City si sfidano per il terzo anno consecutivo, e per i due allenatori è la quarta battaglia in semifinale, c’è anche il precedente del 2014 con vittoria del Madrid sul Bayern. In tutti gli scontri, Carlo vince 2-1, chi è passato ha alzato la coppa. Perché Ancelotti e Guardiola sono due fenomeni. Così lontani, e così vicini.