Conclusa una carriera sensazionale caratterizzata dai 35 trofei conquistati con il Barcellona tra cui nove titoli della Liga e quattro Champions, Andres Iniesta resta un simbolo del calcio spagnolo. Con la maglia della sua Nazionale ha vinto tra il 2008 e il 2012 due Europei e sopratutto il Mondiale del 2010 segnando il gol della vittoria nei tempi supplementari della finale con l’Olanda.
In attesa di iniziare una probabile nuova avventura da allenatore, lo si trova nella veste attuale di ambasciatore per la candidatura di Marocco, Spagna e Portogallo ad ospitare i Mondiali 2030.
“Nel 2010 venivo da tanti infortuni, segnare quel gol in finale è stata una cosa speciale ma la Spagna ha vinto quel Mondiale grazie ad un incredibile lavoro di squadra, a tanti giocatori di talento e al supporto del nostro intero Paese. La rivalità tra giocatori del Barcellona e del Real quando si gioca per la popria Nazionale non conta, pensi solo alle persone che rappresenti: la famiglia, gli amici, le persone che ci hanno insegnato qualcosa. Per questo il calcio internazionale è così speciale e la Coppa del Mondo un torneo come nessun altro”.
Cosa ti hanno lasciato le esperienze in Giappone ed Emirati Arabi Uniti?
“Sono stato felicissimo di avere avuto l'opportunità di giocare in altro continente e confrontarmi con culture diverse. Ho trovato un rispetto per me e la mia famiglia che non dimenticherò mai. Calcisticamente l’Asia ha un grande potenziale umano e di infrastrutture, penso che continuerà a crescere velocemente”.
Hai disputato quattro Mondiali e giocato 131 partite con la Spagna nel corso della tua carriera, nel 2030 il torneo tornerà nel tuo paese dopo 48 anni.
“Credo che questa candidatura possa lasciare un’eredità ancora più grande del Mondiale del 1982. Sarebbe la prima edizione della storia a svolgersi in tutti i continenti e ad unirne orizzonti e culture. Il calcio è un gioco per tutti e le diversità spesso sono una risorsa. Marocco, Portogallo e Spagna hanno tanti punti in comune: sono tutti paesi dedicati al calcio, le distanze tra le varie sedi saranno brevi e per coloro che seguiranno le partite in televisione dalle Americhe e dall'Asia il fuso orario sarà vantaggioso. Quando ho annunciato il mio ritiro ho detto che non avrei potuto vivere lontano dal calcio, far parte del progetto come Ambassador è stata una scelta facile. Per la gran parte delle persone che vivono in Marocco, Spagna e Portogallo sarà un’esperienza unica e mai provata prima. Abbiamo la possibilità e l’ambizione di abbattere le barriere e ispirare i giovani non solo nei paesi ospitanti ma in tutto il mondo e sono convinto che coglieremo questa opportunità”.