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Calcio

Azzurri, due anni buttati. Il flop Macedonia, l'addio di Mancini e ora la Svizzera: l'Italia s'è persa

Fabio Licari
Azzurri, due anni buttati. Il flop Macedonia, l'addio di Mancini e ora la Svizzera: l'Italia s'è persaN/A

Il mondo ci crolla addosso due anni fa, nello spareggio mondiale con la Macedonia a Palermo: il gol incredibile di Trajkovski, Donnarumma nel momento più difficile, un’Italia senza idee, molle, ripetitiva, innocua in attacco. Da allora sono trascorsi più di due anni, ventisette mesi per la precisione. Trascorsi invano, vista l’Italia qui in Germania. Due anni sprecati a costruire poco e niente, sebbene il sospetto che ci sia poco e niente da costruire si faccia sempre più forte. Veniamo da due Mondiali persi ai gruppi (2010 e 2014), altri due in tv (2018 e 2022), e l’Europeo vinto è stato un meritatissimo miracolo nel deserto, subito “rimbalzato” dal Qatar. 

Il mondo crolla con la Macedonia, ma gli scricchiolii si sentivano da tempo. Solo che Mancini, come Bearzot, Vicini, Sacchi, Lippi, Prandelli, paga il debito di riconoscenza verso i suoi eroi. Il pari con la Bulgaria, gli altri due stop con la Svizzera, al di là dei rigori di Jorginho, lo 0-0 in Nord Irlanda: tutte spie di una Nazionale improvvisamente impoverita. Tanti sono fotocopie degli invincibili di Wembley, e il c.t. non ha più il tocco magico. Quella sera Mancini vorrebbe dimettersi ma il presidente Gravina lo convince a restare. Comincia il calvario.  Il calendario ci obbliga all’amichevole in Turchia subito dopo la Macedonia, un 3-2 che sembra un raggio di luce. No: siamo in tilt. A giugno ancora a Wembley per la Finalissima, la sfida tra i campioni dei due continenti. Noi e l’Argentina che sarà Mondiale.

È un massacro, segnano tre “italiani” (Lautaro, Di Maria che lo diventerà poco dopo e Dybala), noi impauriti, piccoli piccoli, annichiliti. Umiliati. L’estate non porta consiglio e un po’ illude. Mancini inserisce o dà più spazio a Tonali, Gnonto, Scamacca, Frattesi, Gatti, Bastoni, ma il gioco non si vede. Addio possesso e palleggio. Soltanto su e giù, ma i messaggi di avvertimento si ripetono. Inascoltati.  A fine 2022 comincia la Nations: i pari con Germania e Inghilterra e il successo sull’Ungheria accendono i cuori, ma a Moenchengladbach siamo stritolati dalla Germania, 5-2, la prima volta nella storia che perdiamo con i tedeschi in un torneo. Battiamo l’Inghilterra a Milano, vinciamo in Ungheria, andiamo in final four di Nations e il peggio sembra dimenticato. Stiamo rinascendo? Mentre comincia il Mondiale, a novembre, andiamo a giocare una tristissima amichevole in Austria e perdiamo senza alibi: Rangnick sta costruendo qualcosa, noi ci stiamo dissolvendo. Cominciano le qualificazioni all’Europeo. A Napoli l’Inghilterra ci restituisce il dolore di Wembley: 2-1, non basta il debutto con gol di Retegui. Irriconoscibili. 

Altra illusione estiva: la fase finale di Nations. Perdiamo con la Spagna 2-1, giocando alla pari, poi battiamo bene l’Olanda nella finalina. Ma si respira un’aria strana nel gruppo azzurro, Mancini è ombroso, i giocatori non sorridono. È fine giugno. Sarebbe bastato che il c.t. si dimettesse per cominciare il lavoro un po’ prima, invece l’addio di Ferragosto, senza entrare nel merito, obbliga alla nomina veloce di Luciano Spalletti. Altro tempo perso. Non c’è dubbio: è il nome migliore, al Napoli ha compiuto un capolavoro. Ma non può programmare, deve pensare solo a qualificarsi all’Euro, o sarà l’ennesima apocalisse. 

Ci sono momenti rassicuranti, tipo il successo sull’Ucraina a Milano, ma a Wembley, dopo un bel primo tempo, subiamo una lezione tecnica, tattica e agonistica da Bellingham e Kane, un 3-1 che fa male. Appena il rivale è forte, Germania, Spagna, Argentina, Inghilterra, Austria, perdiamo. Spalletti si lega al 4-3-3, lo 0-0 sofferto con l’Ucraina vale la Germania. Ci sono momenti di bel gioco offensivo al quale manca un centravanti. Ma, sbilanciati, rischiamo. Così progetta di difendersi a tre, il 3-4-2-1 inaugurato in America e prescelto fino a Coverciano, quando comincia un giro di cambi tattici, ideologici e di formazione che non aiuta. E ora si riparte. Di nuovo. Ma non da zero. Perché chi è rimasto fuori – Tonali, Udogie, Zaniolo – poteva dare qualcosa ma non trasformarci nella Spagna. Questi, tristemente, siamo. E quindi serve una migliore organizzazione. Senza perdere più tempo. 

Fonte: gazzetta.it