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Cagliari

Bobo Gori: più che una pedina di scambio

Andrea Zedda
Bobo Gori: più che una pedina di scambioDAZN

Bisognerebbe sempre conoscere il peso delle parole. Non di tutte, di alcune. Almeno di quelle che compongono un nostro scritto, un articolo, una pagina di giornale, ma soprattutto dovremmo sempre mettere alla prova la nostra fantasia, obbligandola ad immaginarsi il volto dei possibili lettori.

La mia, per quanto possa esser segnata da limiti comuni a tutti, riesce ad applicarsi nel migliore dei modi in una circostanza particolare: quando a Milano passando per Piazza Sant’Alessandro capita di fermarmi davanti all’insegna de “Alla Collina Pistoiese”. Non un ristorante qualunque, perché tra i tavoli sono soliti aggirarsi quattro scudetti, non nel senso stretto della frase, ma impersonati da un calciatore che li ha vinti con tre diverse squadre: Sergio Gori.

Bobo Gori

"Pedina di scambio"

Me l’immagino il suo viso e riesco a vedere la sua espressione, quando con sguardo corrucciato lesse dell’affare Boninsegna. Uno sguardo che non poteva esser frutto di un effetto sorpresa, ma di una definizione che comprensibilmente gli stava stretta: “pedina di scambio”. I giornali d’altronde parlavano chiaro, lui la notizia l’aveva appresa da giorni: Bonimba ai nerazzurri, Sergio Gori, Angelo Domenghini e Cece Poli al Cagliari.

Forse “pedina di scambio” non doveva essere in cima alla lista delle preferenze dei soprannomi, lui che un nomignolo ce l’aveva già, perché, sebbene non risultasse registrato all’anagrafe, il vero nome che lo accompagnerà per tutta la vita sarà semplicemente “Bobo”. La verità è che come in ogni storia che si rispetti, anche questa ha un lieto fine, non dettato dal caso, ma dall’intento di smentire in toto un’etichetta che non poteva rimanergli incollata e andava staccata. Così fece.

Bobo Gori

La storia di Gori

Arrivato in Sardegna smise i panni di pedina per indossare quelli da campione, lui che un campione lo era già stato con il mago Herrera all’Inter, ma con cui non riuscì mai a cucire un buon rapporto, quello che invece costruì con Manlio Scopigno, l’allora allenatore del Cagliari e inventore di un primordiale falso nueve: Gori per l’appunto. Una scelta tattica che permise ai rossoblu di raccogliere i suoi frutti il 12 aprile 1970 quando, a due giorni di distanza dallo scioglimento dei Beatles, lui fu protagonista di un’impresa segnando il gol del 2-0 al Bari, consegnando al Cagliari lo scudetto.

Arrivò un giorno in cui l’immaginazione smise di esser costretta ad assistermi e lo conobbi di persona e seppe smentire ogni possibile fantasia: «Ero arrabbiato perché giocavo in una squadra che non aveva fiducia in me (Inter, ndr) e nemmeno io ne avevo in loro, di Cagliari non sapevo nulla, sapevo solo che era sul mare e questo mi convinse non solo ad accettare il trasferimento, ma ad esserne contento». 

Lui stesso mi raccontò che non si rese conto nessuno dell’impresa, ma se ne accorsero tutti dopo, come si poteva notare dal tenore dei festeggiamenti: «Ci chiudemmo nella stanza dei massaggi e fumammo tutti una sigaretta. Andarono via tutte le preoccupazioni. Fu dopo che arrivò l’eco dei giornali e capimmo di cosa eravamo stati capaci. Non un’impresa sportiva, ma un riscatto sociale».

Bobo Gori

Come scrisse Gianni Brera, quella fu la prima volta che la Sardegna entrò in Italia, e a dargli una grossa mano ci fu Bobo Gori, un campione, non una pedina di scambio.