I gemelli diversi sono nati nel 1996, a sei mesi e 450 chilometri di distanza. Una voglia rossonera sul cuore Davide Calabria, una giallorossa Lorenzo Pellegrini, e per entrambi una fascia al braccio nel destino. Per i figli del vivaio come loro non c'è nulla di più naturale, specialmente se la storia comincia nella squadra per la quale hai sempre tifato: sognare è semplice, la parte complicata è tutto il resto. Calabria e Pellegrini ci sono riusciti: le loro storie scorrono in parallelo, dall'esordio tra i grandi nel 2015 ai successi nel 2022, il milanista campione d'Italia e il romanista con la Conference League tra le mani, e questa sera si incroceranno in Europa, per la prima volta.
Capitani, tifosi, leader cresciuti nelle squadre che oggi guidano: in Italia non c'è nessuno come loro.
Davide da Brescia, nel Milan, aveva modelli leggendari da seguire. Il Diavolo che ha dominato l'Europa e il mondo ha avuto prima Baresi e poi Maldini, una vita intera in rossonero, valanghe di partite e di trofei alzati al cielo. Entrambi hanno guidato dalla difesa. Calabria no, lui da bambino giocava a centrocampo, fino all'intuizione di un... attaccante: "Quando sono arrivato giocavo mediano, poi ho fatto la mezzala in un centrocampo a tre nel settore giovanile fino agli Allievi di Inzaghi: lui mi spostò terzino. Giocai a sinistra per un anno, poi cambiai fascia e non l'ho più lasciata". Sulla destra si corre, ma per Calabria è stata una scalata: ha debuttato a 18 anni, con Mihajlovic in panchina. Sinisa era coraggioso: nella stessa annata aveva lanciato un certo Donnarumma, predestinato che dalla porta non è più uscito. Per Calabria, invece, la concorrenza non è mai mancata, da Conti - rinforzo da 25 milioni nella stagione di Mr. Li - a Dalot, Davide ha dovuto sgomitare per tenersi stretto un posto da titolare e la tenacia lo ha premiato. Ha fatto cambiare idea a tanti, compreso Pioli: nel suo primo Milan non c'era posto per Calabria, ma dal 2020 in avanti la musica è cambiata.
Ed è cambiato lo status del numero 2 rossonero, che dello spogliatoio di Milanello è diventato un senatore, fino a guadagnarsi i gradi del condottiero. Quella fascia si è attaccata al suo braccio con frequenza nel 2021-22, stagione dello scudetto: Calabria è stato il capitano nei fatti ma il 22 maggio, giorno del trionfo a Reggio Emilia, si è fatto da parte lasciando l'onore di alzare la coppa a Romagnoli, capitano con le valigie. Dalla scorsa stagione i gradi sono ufficialmente passati a lui, che stasera giocherà la partita numero 255 in rossonero: il grande obiettivo è alzare il primo trofeo da capitano, l'Europa League gli offre l'assist. "Il milanista è colui che mette la squadra prima di sé stesso e dà tutto per questa maglia", ha spiegato tempo fa: filosofia perfettamente applicata sul campo. Fuori, Calabria aspetta una chiamata dal club: il suo contratto scade tra un anno e lui si aspetta un ritocco all'altezza della sua storia.
"Mi viene da pensare a mio padre, che mi ha trasmesso tutto questo spettacolo, tra romanità e romanismo". Subito dopo il trionfo di Conference League a Tirana del 2022 fa Lorenzo Pellegrini pensò a papà Tonino, colui che gli ha trasmesso la passione per la Roma. Perché se oggi Lorenzo è il capitano della Roma e ne è anche un tifoso vero il merito è proprio di Tonino, che gli ha insegnato prima a calciare e poi a tifare. Nel 2001, anno del terzo scudetto giallorosso, Pellegrini era lì, in distinti sud, a tifare insieme a Tonino. Aveva solo 5 anni, qualche anno dopo entrò anche a Trigoria, coronando il sogno che aveva fin da bambino.
Poi è venuto anche tutto il resto, con il passaggio da centravanti a centrocampista, gli insegnamenti di Tovalieri e Montella e la scalata verso l'Olimpo. Che poi per Pellegrini voleva dire tornare a Roma, subito dopo i due anni al Sassuolo. Gli bastava quello per essere felice, poi è arrivata la fascia, dopo un Roma-Spezia in cui Dzeko mandò a quel paese Fonseca e il tecnico portoghese decise di cambiare definitivamente: la fascia a Lorenzo. Pellegrini e Dzeko erano amici, Lorenzo visse la situazione anche con un pizzico di imbarazzo, ma essere capitano della Roma, per uno cresciuto a pane e Roma, era una opportunità impossibile da rifiutare. Proprio come è successo a De Rossi adesso, che in Pellegrini rivede un po' anche di sé : "Io so bene cosa vuol dire portare quella fascia a Roma, avere oneri e onori. Lorenzo l'ho lasciato che era quasi un bambino e l'ho ritrovato come un ragazzo maturo.
Per me è perfetto in questo ruolo, è d'esempio fuori e dentro il campo", ha detto tempo fa l'allenatore della Roma. Ed è così, perché da quando è arrivato De Rossi Pellegrini è di fatto rinato, tornando ad essere decisivo come lo era stato nel primo anno di Mourinho. E forse è anche per questo che adesso il capitano è tornato a volare, perché chi lo allena è stato capitano romano e romanista come è lui. E se c'è da capirlo, consigliarlo o anche indirizzarlo sa dove partire. E dove arrivare. Come Pellegrini, che ora che ha ritrovato l'empatia con la sua Roma (e con la sua gente) non vuole fare passi indietro. Anzi, se possibile andare ancora un po' più avanti, fino alla terza finale consecutiva.
Fonte: gazzetta.it