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Calcio

Conte-Milan, storia di un amore mai nato: perché Antonio non è diventato il tecnico del Diavolo

Marco Pasotto
Conte-Milan, storia di un amore mai nato: perché Antonio non è diventato il tecnico del DiavoloN/A
Una pista mai davvero decollata (anche se per i tifosi è sempre stato il preferito): il club rossonero cercava figure che condividessero e non che accentrassero

Nulla che non fosse logico - praticamente scontato - attendersi. Occhi di brace, parole di fuoco, petto in fuori, orgoglio per il proprio lavoro e la propria professionalità. La presentazione di Antonio Conte a Napoli ha rispettato il cliché. Tante sfide dentro la sfida madre di risollevare Napoli dalla depressione dell'ultima annata. Ovvero ciò che poi cercava disperatamente anche la gente rossonera, che magari non sarà sconfortata come quella napoletana ma, insomma, desiderava fortemente una scossa importante. Ecco perché, prima che Fonseca diventasse ufficiale, il nome più ambìto dalla piazza milanista era proprio Conte. Maggioranza bulgara sul web, nei bar e per strada. Non è infatti casuale che a febbraio, quando il nome di Antonio non solo veniva associato con insistenza al Milan, ma anche a Ibra, lo svedese aveva deciso di uscire allo scoperto pubblicamente: "Pioli è il nostro allenatore e siamo contenti di lui".

Al netto di com'è poi finita, la frase di Zlatan aveva due obiettivi: permettere a Pioli di concludere la stagione facendogli sentire la vicinanza della società, e affrancare se stesso dalle voci che lo raccontavano indaffarato in svariati colloqui con Conte. In quei giorni, a chi gli stava vicino, Ibra  spiegava vigorosamente di non capire la genesi di quelle chiacchiere, dal momento che il suo ultimo contatto con Antonio era datato 2016. Che poi i contatti tra i due ci siano stati o meno, a questo punto diventa irrilevante visto com'è andata a finire. Il Milan ha tenuto fede al proprio modo di interpretare la gestione aziendale dell'area sportiva e lo show di ieri di Conte viene considerato una spiegazione esaustiva sul perché delle scelte per la panchina. Qualche mese fa si pensava soprattutto a motivazioni di carattere economico: Conte guadagna parecchio, esige un mercato super, eccetera. In realtà la prima ragione per la quale il Diavolo ha corteggiato altri profili è un'altra. Ed è tutta contenuta nel one man show di ieri.

Nella sua conferenza Antonio ha rivolto le ennesime lodi sperticate a Lukaku, che di questi tempi piace parecchio al Milan, e poi ha risposto così a chi gli faceva notare che Ibra lo aveva definito un manager: "Sì, sono un manager, voglio avere voce in capitolo e questo da altre parti può dare fastidio". Un chiaro riferimento al Milan e alla sua struttura dirigenziale (Ibra compreso ovviamente), e una altrettanto chiara puntura. Il punto centrale è questo. Il Milan nelle proprie valutazioni per il dopo Pioli ha fin da subito percorso linee guida chiare. Una delle quali portava alla ricerca di una figura amalgamabile senza difficoltà col resto del club. Qualcuno che non accentrasse, ma condividesse. Ha spiegato proprio Ibra un paio di settimane fa: "Conte? Non ne abbiamo discusso perché il criterio che abbiamo tenuto, con tutto il rispetto per lui, non era quello che cercavamo". Ecco.

E allora la prima domanda è: c'è mai stata realmente possibilità che Antonio prendesse casa a Milanello? Più no che sì. Quindi non un no assoluto, perché l'ex c.t. azzurro non aveva preclusioni per intavolare un discorso col Diavolo. È stato semmai dall'altra parte - lato via Aldo Rossi - che la pista non è mai realmente decollata. Esaminata, probabilmente sì. Ma poi è rimasta lì così, come una diavolina fallata che non riesce ad accendere il fuoco. Per capire il motivo basta andare a rivedersi o a rileggersi il one man show di Conte delle scorse ore. È la rappresentazione plastica delle ragioni che hanno indotto proprietà e dirigenza a suonare altri campanelli. One man show, appunto. Un elenco lungo così di "io", nel senso di io dico, io faccio, io decido, io comando. E, intendiamoci, non c'è nulla di male in questo. Ogni allenatore ha il diritto di interpretare il ruolo come meglio crede e ogni club ha il diritto di affidarsi alla guida che reputa più adatta. Il succo della questione sta proprio qui, e mettere accanto Conte e Fonseca spiega già praticamente tutto.

Fonte: Gazzetta.it