Una leggenda del calcio sudamericano, una leggenda dell’Inter. Questo è Ivan Ramiro Cordoba. Un campione che non ha bisogno di presentazioni, uno che nel proprio curriculum conta 455 presenze con l’Inter (18 reti e 11 assist) e altre 75 (con 5 centri) con la Colombia, con la quale vinse la Copa América nel 2001, segnando quello storico gol al 65’ nella finalissima contro il Messico. Fu uno dei momenti storici della sua lunga e vincente carriera, che gli ha inoltre regalato 15 trofei a Milano, tra cui una Champions League e un Mondiale per Club. Questi sono i numeri di un percorso incredibile e che oggi lo vede in giacca e cravatta.
Quelle del Venezia, società di cui fa parte come socio e dirigente. E l’intervista che Ivan concede a Dazn parte proprio da qui: “La Serie B è un campionato tostissimo, tutto può cambiare da una giornata all’altra: non esistono grandi o piccole. Noi dobbiamo essere umili: prima dobbiamo migliorare, solo più avanti capiremo quali saranno i nostri reali obiettivi. Per ora, è prematuro parlare di promozione diretta e play-off”.
Cordoba, nel tempo la Serie B è diventata sempre più un torneo tanto difficile quanto appassionante.
“Assolutamente. E se molli un attimo, rimani indietro: non devi mai pensare di abbassare il ritmo. Sa chi fa strada in questa categoria? Chi è disposto a sacrificarsi e a essere umile: solo così si arriva in fondo. Piaccia o meno, questa è la strada. E chi lo capisce, spesso arriva in A riuscendo a fare anche la differenza”.
Per il Venezia finora cinque vittorie, tre pareggi e due sconfitte: il bilancio parziale?
”Positivo, ma vietato accontentarsi. Tuttavia, non vorrei dichiarare gli obiettivi alla fine di ottobre: è presto, dobbiamo ragionare di partita in partita. Il focus deve essere sul presente, provando a vincere sempre: il Venezia deve entrare in campo con questa mentalità, mai per pareggiare o limitarsi al ‘compitino’. Sappiamo, anche in dirigenza, che la squadra può crescere: andiamo avanti così, i ragazzi devono seguire il mister che sta facendo un ottimo lavoro. Prima viene il gruppo, dopo il singolo: solo così potremo arrivare lontano”.
Sugli obiettivi stagionali, quindi, no comment?
“Solitamente, il quadro è chiaro ad aprile. Prima è inutile sbandierare gli obiettivi se nel frattempo non si migliora. Noi, ripeto, entreremo in campo sempre e comunque per la vittoria. Poi si vedrà”.
In Serie A, invece, la “sua” Inter è prima in classifica: come potenziale, è la squadra migliore?
”Sicuramente è molto forte. Parliamo di un gruppo che è cresciuto, costantemente, anno dopo anno e che ha acquisito una certa consapevolezza, conscio dei propri enormi mezzi tecnici e mentali. Si vede che i ragazzi si sentono forti, lo percepiscono pure gli avversari: sai che, avendo di fronte l’Inter, sfidi i vice-campioni d’Europa, appunto oggi davanti a tutti in Italia. Di certo, l’Inter ha molte possibilità di conquistare lo Scudetto”.
In Champions pensa sia possibile riprovarci dopo la sconfitta contro il Manchester City?
”Rispetto alla scorsa stagione, in parte la rosa è cambiata. Tuttavia, la base è rimasta e sarebbe ingenuo non pensare di tentarci ancora. Storicamente, ma anche come potenziale attuale, l’Inter non deve limitarsi a passare il girone: deve puntare sempre alla finale. Anzi, alla vittoria finale. Quindi, per rispondere alla sua domanda, non ho alcun dubbio sul fatto che possa e debba riprovarci”.
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Domenica a San Siro arriverà la Roma: da campione e tifoso interista, che conosce bene le idee del popolo nerazzurro, qual è il suo commento sull’estate di Lukaku?
”Una vicenda decisamente strana, difficile da inquadrare in questo momento. L’ho sempre considerato, credo come tutti, un giocatore attaccato a questi colori e che ha sempre fatto il possibile per restare, quantomeno a parole. Onestamente, non ho mai capito perché alla fine non l’abbia fatto. Seppur parzialmente, dal ritiro della sua Nazionale, di recente qualcosa ha detto. Posticipando a un secondo momento la spiegazione completa. Io credo alle parole della dirigenza dell’Inter, tuttavia sarebbe curioso capire cosa abbia da dire Lukaku”.
Cosa si aspetta, invece, dalla partita?
“Equilibrio, sarà un match combattuto. Da interista, ovviamente, spero in una vittoria”.
Classe ’88, arrivato con alcuni dubbi alle spalle: sorpreso dal rendimento di Acerbi?
”Sì, non lo nego. Credo che la sua forza sia l’extra-campo: si vede che nella quotidianità è una persona forte. E questi valori li porta all’interno: se Acerbi sta sorprendendo, il merito è suo. Ha 35 anni, ma non sembra: ricordatevi la sua prestazione a Istanbul. Francesco è l’esempio dell’affidabilità: impossibile non applaudirlo”.
Per Inzaghi terza stagione all’Inter: si aspetta di vederlo ancora a lungo su questa panchina?
“Ha già aperto un ciclo. E se gliel’hanno permesso, ha grandi meriti: il club l’ha premiato, anche con il rinnovo da poco ufficializzato, e lo ascolta nelle decisioni importanti da prendere. Per un allenatore, avere questa fiducia è fondamentale. Bravo Simone, idem i calciatori che lo seguono. E pure la dirigenza per aver creato questo ambiente”.
Dal post-Triplete, questa va considerata come l’Inter più forte o quella di Conte era superiore?
”Sono entrambe di alto livello, di certo le migliori dal 2010 in poi. Dopo anni complicati e con vari cambiamenti, Antonio è riuscito a riportare l’ordine e a creare una mentalità precisa attraverso un determinato lavoro. E non dimentico Spalletti, è stato il primo a fare la differenza centrando il ritorno in Champions. Poi Inzaghi, con un approccio differente, ha proseguito raggiungendo grandi traguardi. Fare paragoni tra loro non è semplice e non ne faccio, ma tutti e tre hanno fatto la differenza nel recente passato dell’Inter. Simone la fa tuttora”.
In generale, dove colloca il calcio italiano a livello europeo?
”La Serie A è il terzo campionato, davanti ci sono Premier League e Liga. Detto ciò, ci sono ampi margini per scalare questa sorta di classifica. E bisogna partire dalle strutture, seguendo l’esempio della Fiorentina e proprio del Venezia: sono club che hanno investito molto, sapendo che un domani avranno un ritorno a livello di immagine e anche tecnico. Perché l’appeal cresce: se un giocatore sa che può lavorare in un determinato centro sportivo, tanto bello quanto all’avanguardia, le possibilità che ti scelga aumentano. La direzione per crescere è questa: mi auguro che il maggior numero di società italiane segua questi esempi”.