Il governo che ora ritiene urgente e necessario appropriarsi dell’organo di controllo dei conti dei club tanto da inserirlo in un decreto legge, negli ultimi anni - diciamo dal Covid in poi - ha ignorato o quasi il grido d’allarme lanciato a più riprese dai vertici del mondo del pallone, a caccia di un aiuto (anche indiretto) per uscire da una crisi economica sempre più profonda. Vediamo dunque quali sono oggi e quali sono state le richieste del calcio allo Stato facendo il punto della situazione. La Figc vuole il Tax Credit giusto? In Italia c’è anche il problema stadi. Durante il Covid il calcio ha ricevuto aiuti? Giusto. L’argomento è dallo scorso anno oggetto di tutte le riunioni che il presidente della Federcalcio Gabriele Gravina ha avuto con il ministro dello Sport Andrea Abodi. Una richiesta ribadita anche di recente nell’audizione in Commissione al Senato: "Tutti parlano di sport e cultura, io direi che sport è cultura, dunque rivendichiamo la stessa dignità di chi opera in quel settore. Lo facciamo chiedendo un riconoscimento del Tax Credit per lo sviluppo di vivai e infrastrutture", esattamente come avviene ad esempio per il cinema. Al momento però le agevolazioni proprie del Tax Credit, per quanto ben mirate alla risoluzione di problemi che il governo stesso ritiene urgenti, non sono su alcun tavolo governativo. Non si era parlato anche di scommesse?
È un altro punto su cui il calcio punta molto: si chiede di destinare una percentuale dei ricavi delle società di scommesse (la proposta è l’1%) verso chi di fatto realizza gli eventi su cui la gente gioca. Anche in questo caso gli introiti verrebbero investiti sullo sviluppo dei settori giovanili, il rinnovo delle infrastrutture e la promozione della cultura sportiva nelle scuole. In Portogallo ad esempio Leghe, club e federcalcio si dividono il 3,5% dei proventi delle scommesse calcistiche. Da noi anche l’1% sarebbe una boccata d’ossigeno importantissima, meglio se accompagnata dalla revisione del Decreto Dignità con l’abolizione del divieto di pubblicità per le società di betting. Quello delle scommesse è probabilmente il fronte su cui Abodi si è finora maggiormente speso: "Credo che assegnare agli organizzatori degli eventi sportivi italiani una percentuale sulla raccolta delle scommesse possa evitare la loro esclusione dalla catena del valore, che fino a oggi va a beneficio dello Stato, del montepremi e dei concessionari.
Penso che questa misura possa essere introdotta attraverso il decreto di riordino del settore, nelle sue due dimensioni: digitale e fisica", aveva detto. Ma nel decreto di cui fa parte la creazione dell’Agenzia governativa di controllo sui conti del calcio, la questione scommesse non c’è. I lavori vanno avanti a rilento, si sta ragionando ancora sulla fattibilità. Per capirci, non si è arrivati a parlare di percentuali dell’ammontare destinabile al calcio. La Federcalcio vorrebbe creare una cabina di regia e ha chiesto allo Stato un intervento concreto come supporto allo sviluppo delle infrastrutture anche attraverso nuove logiche di finanziamento (come un fondo a partecipazione mista pubblico-privato). Il tema è caro anche al governo, tanto che Abodi ha ipotizzato a più riprese la nomina di un «commissario per gli stadi». Da qualche settimana sono stati avviati una serie di incontri con le società che hanno più necessità di interventi infrastrutturali (uno è in programma anche oggi). Il ciclo di riunioni si concluderà a breve, quindi verrà proposta una soluzione che non sarà necessariamente quella del commissariamento. E il Decreto Crescita? A fronte degli aiuti che faticano ad arrivare, ci sono quelli che il calcio ha perso.
Dal 1° gennaio 2024 sono appunto venuti a mancare i vantaggi fiscali del Decreto Crescita, che avevano permesso di far arrivare in Italia campioni con stipendi importanti, diventati accessibili proprio grazie a quegli sgravi. Un’opportunità che non solo aveva migliorato l’appeal del calcio italiano a livello internazionale, ma aveva giovato molto anche alle casse dello Stato visto che i giocatori sui loro stipendi pesanti pagavano ovviamente le tasse. No. Durante la pandemia, a fronte di perdite ingentissime per il tutto il sistema calcio (complessivamente si parla di 2,2 miliardi di euro), lo Stato non ha fornito ristori, cosa che invece è stata fatta in modo decisamente importante per altri settori, tra cui il cinema. Nessun aiuto diretto insomma, all’epoca ci si limitò a fornire dei rimborsi per le spese sui tamponi e qualche sostegno per i Dilettanti. Eppure il calcio in Italia vale 22 miliardi di euro, pari all’1,4% del Pil. Dimenticarsene sarebbe un grave errore.
Fonte: Gazzetta.it