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Calcio

Dall'unghia di Luperto ad Anjorin-Politano: il ritorno dei "rigorini"

Giulio Saetta
Dall'unghia di Luperto ad Anjorin-Politano: il ritorno dei "rigorini"N/A
Alla settima giornata sono stati fischiati 9 rigori in 10 partite, e non tutti sono stati solari: solo un esempio di come si arriva quest'anno alle "massime punizioni"

Sembrava un termine in via d’estinzione: “rigorino”. Nell’ultimo turno è invece tristemente tornato in auge dopo la vetrina di Inter-Napoli e il contatto “troppo leggero” fra Anguissa e Dumfries. Che la “massima punizione”, come suggerisce la definizione stessa, sia qualcosa da assegnare per qualcosa di “grave” è uno dei mantra del designatore Rocchi. Puntualmente enunciato, da qualche anno a questa parte, a ogni inizio stagione. Ma è anche un tarlo per lui e i suoi collaboratori, di cui dover rendere conto nelle comunicazioni “aperte” con l’esterno, che siano gli appuntamenti settimanali Open Var su Dazn o i saltuari briefing con i media. I rigorini sono certamente una delle più fastidiose storture del calcio moderno, vuoi per il senso di ingiustizia che trasmettono al pubblico vuoi perché spesso evidenziano difformità di interpretazione e di giudizio. 

Quest’anno non era andata male nelle prime giornate. Alla sesta, stadio Sinigaglia di Como, al Verona viene assegnato un rigore che definire “ino” è un eufemismo. Impalpabile lo step on foot di Sergi Roberto su Lazovic, una pizzicata che induce Marini alla Var a invitare al monitor il giovane Giua, che timidamente conferma. La settima è la giornata “nera” di Rocchi, più per il numero che per l’Intensità dei rigori concessi, nove su dieci partite, un record. Alcuni, però, di serio hanno ben poco. Come le unghie della mano destra di Luperto che all’Allianz causano il rigore dell’1-0 di Vlahovic. Pallone sfiorato dal capitano del Cagliari in ricaduta da un duello aereo con Gatti, mica un fuscello, tocco che modifica zero la traiettoria della sfera, tanto che né i bianconeri né Marinelli in campo se ne accorgerebbero senza la chiamata del Var Paterna. Festival del rigore in Fiorentina-Milan, almeno uno su tre fischi di Pairetto è troppo generoso sebbene entro le linee guide dell’Aia. Theo Hernandez e Dodo quasi insieme sul pallone, con il francese che striscia la suola dell’avversario. "Io che amo il calcio non voglio contribuire a questo circo. Oggi qualsiasi cosa è rigore. Un minimo contatto è rigore, il calcio non è così e non voglio parlare di questo" è lo sfogo a fine gara di Fonseca.  Il fischio forse più stonato del campionato lo si è udito al Castellani in Empoli-Napoli, ottava giornata. Abisso vede un fallo di Anjorin su Politano quando si fa fatica a scorgere addirittura un contatto.

"Mi lascia perplesso a meno che non rientri nella categoria dei rigorini che non si dovevano più dare o che dovevano essere valutati in modo diverso" è l’amarezza, mista a stupore, del ds empolese Gemmi. Il Var – Paterna in questo caso – da protocollo non può interferire se non c’è chiaro errore, ed è questo che crea il cortocircuito. L’intensità è cosa soggettiva: può succedere che si scambi per falloso un normale contrasto di gioco e il Var non vi ha competenza. Uno strumento introdotto per togliere dubbi, che se diventa inutile finisce per creare una frustrante zona grigia. Nona e decima giornata, tutto ok. All’undicesima, in Lazio-Cagliari, Zortea calcia (frenando il gesto) nel contempo pallone e piede di Pellegrini, che rotola a terra come se gli avessero segato una gamba. Nella zona grigia del rigorino i simulatori sguazzano. E l’arbitro (Ayroldi) abbocca.

Fonte: gazzetta.it