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De Sciglio a cuore aperto: "Non sono il figlioccio di Allegri, non mi ha mai favorito"

Redazione
De Sciglio a cuore aperto: "Non sono il figlioccio di Allegri, non mi ha mai favorito"DAZN

Il Milan, la Juventus, il rapporto con Max Allegri, la depressione: Mattia De Sciglio si racconta a 360 gradi e a cuore aperto ai microfoni di Cronache di spogliatoio. Il legame e le dinamiche personali col tecnico livornese rappresentano il centro del discorso. E il terzino bianconero ci tiene a dire le cose come stanno: "Prima di parlarvi di Allegri, voglio chiarire che non sono il suo figlioccio. Il nostro è uno dei rapporti allenatore-giocatore più importanti degli ultimi anni, ma lui non mi ha mai favorito".

"Mangia e dormi"

De Sciglio non ha alcun dubbio: con Allegri è nato un legame speciale. "Pretende tanto da me, e sono uno di quello che massacra di più. A lui piace dare nomignoli a tutti i calciatori, e quando vuole colpirmi nell'orgoglio mi chiama 'Mangia e dormi'. Perdché dice che sostanzialmente io mi alleno, mangio e dormo. E basta".

De Sciglio Roma Juventus Serie AGetty

"Mica sono tutti Guardiola"

Il pragmatismo di Allegri "viene visto come un difetto", sottolinea il calciatore. "In tanti si mettono negli occhi il bel calcio, guardano Guardiola e puntano il dito. Ma mica tutti sono come Guardiola. Pep è unico nelle sue idee e nel modo di mettere in campo la squadra, di inventare ruoli. La gente si è messa in testa che tutte le grandi squadre devono giocare bene, ma questa è una contraddizione. In Italia si tende a guardare il risultato, poi però si parla del bel gioco. E molto spesso le due cose non vanno di pari passo".

"Io capro espiatorio al Milan"

Da Torino a Milano, da un allenatore a un altro. De Sciglio parla della parte del suo passato in rossonero: "Il Milan era il mio caricabatterie, eravamo sempre connessi e stavo al 100% in ogni momento. C’era Boa, c’era Ibra, e soprattutto c’era il mister". Ma poi è arrivata la rottura con l'allora allenatore Vincenzo Montella, a partire da un momento preciso e indelebile nella memoria del terzino. "Alzo la testa e vedo che sulla lavagnetta luminosa c’è il numero 2, il mio. Non ho molto tempo per realizzare, perché 70mila persone iniziano a fischiare. Sono stato dato in pasto ai leoni, quella è stata l’inizio della fine. I fischi sono talmente forti che non riesco a pensare. Mi sedo in panchina e vengo sopraffatto da vampate di calore, di rabbia. Ribollo. Ero stato gettato nel vortice, messo nel mezzo e dato in pasto ai tifosi per lavarsene le mani. Ero incazzato".

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L'incubo con i tifosi

L'esperienza si rivela terribile sotto tutti i punti di vista. "Raggiungo i miei genitori nel garage dello stadio, dove mi stanno aspettando per tornare a casa. Salgo in macchina e imbocchiamo il tunnel d’uscita. C’è un po’ di coda, mio padre frena e si mette in fila. Un tifoso, con in mano una birra e chissà quante altre bevute prima, si avvicina e grida: 'C’è De Sciglio'. Inizia a insultarmi, poi arrivano altre persone che urlano: 'Vattene alla Juventus'. Mio padre scende dalla macchina e prova a calmarli, ma loro iniziano a spintonare". De Sciglio sceglie di agire e sfiora la rissa con alcuni supporter rossoneri. "A quel punto non ci ho visto più. Buio, tutto nero. Sono sceso e ho fatto l’errore di reagire. Non sono riuscito a tenermi dentro tutte le emozioni che vivevo. Ho sbagliato, ma avevo visto i miei genitori tirati in mezzo a questa storia. Una storia terribile".

La depressione

Quella parentesi è stata per De Sciglio una delle peggiori, caratterizzata anche da tanti problemi fisici. Ma, soprattutto, dal pericolo vivissimo di finire in depressione. "Non ho avuto problemi gravi, tutti stop di qualche settimana: tornavo, e dopo due partite mi fermavo nuovamente. Sono iniziate le critiche della stampa e dei tifosi. Mi hanno ferito, facevano male. Si era creata un’immagine distorta, e anche quando facevo delle partite positive, saltava fuori un pretesto per attaccarmi. Mi sono chiuso in casa. Mi sentivo in difetto anche nell’andare a cena con la mia fidanzata a metà settimana, oppure portare fuori mia madre". Una sensazione orribile: "Mi mancava la felicità. Ho sfiorato la depressione, uno stato in cui nessuno si accorge di entrare. Ho imparato a lavorare con la testa attraverso un lungo percorso che mi ha permesso di capire chi sono veramente, e che se sono arrivato a certi livelli è perché me lo merito".