A certi livelli, pensare che solamente il denaro possa rappresentare l’appagamento sportivo è riduttivo: senza dubbio i soldi fanno spessissimo la differenza, ma può capitare che a un certo punto ritorni l’ambizione, quella “fame” necessaria che in una carriera può dividere il successo dal fallimento. Vale per i calciatori, altrettanto per gli allenatori. Dopo l’addio (anche difficile) alla panchina dell’Italia, Roberto Mancini ha scelto di cambiare vita. Nessuna squadra di club, ma ancora una Nazionale. Non una Nazionale di assoluto livello, in un calcio che sta cercando di farsi spazio a livello mondiale attraverso, in partenza, i soldi.
A tantissimi soldi. Proprio quelli che la Saudi Arabian Football Federation gli ha garantito al momento della firma ufficializzata nell'agosto scorso: circa 25 milioni di euro netti all’anno fino al 2027. Una cifra faraonica, che avrebbe fatto vacillare chiunque. Pure il Mancio, che alla fine ha accettato sottolineando varie volte che dietro alla decisione di chiudere con gli azzurri non ci fosse tutto questo (la proposta, spiegava, è arrivata in un secondo momento).
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Quei rigori maledetti
Nei giorni in cui è stato presentato dalla Federazione saudita, attraverso i propri canali social Mancini dichiarava “di avere come obiettivo quello di scrivere la storia anche qui”. Le difficoltà, però, non sono poi mancate. L'esordio dell’8 settembre 2023 con la sconfitta in amichevole 3-1 contro la Costa Rica a Newcastle, ma soprattutto gli ottavi di finale nella Coppa d’Asia persi ai rigori contro la Corea del Sud: un'eliminazione che ha creato parecchie polemiche nel Paese, specialmente per la scelta da parte del tecnico di abbandonare anzitempo il campo rispetto al termine della sequenza dei penalty. Più che i risultati, però, il lavoro del c.t. insieme al suo staff è stato soprattutto quello di cambiare mentalità a un mondo – parlando del lato calcistico – forse non totalmente professionale.
Per esempio, hanno fatto non poco rumore le dichiarazioni dello stesso Mancini, che aveva chiaramente spiegato alla stampa di alcuni giocatori che avrebbero risposto alle convocazioni solo con la garanzia di essere impiegati. Una pretesa senza senso, a maggior ragione di fronte a un allenatore del calibro del Mancio. Uno che caratterialmente non si piega facilmente. Questione di mentalità. Ciò che sta cercando di creare insieme ai propri collaboratori (il vice è l’ivoriano Yaya Touré, con il quale condivise l’esperienza al Manchester City). E in un ambiente sportivo come quello arabo, con l’ambizione dichiarata di diventare un riferimento a livello mondiale, riuscirci forse varrebbe quasi quanto vincere un titolo.
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Mentalità da sviluppare
Per diminuire il gap con l’Europa non basta il denaro: ok le strutture, bellissime, ma serve prima di tutto la testa. Creare un movimento da zero o quasi non è per niente facile, anche per questo da quelle parti hanno scelto un profilo come quello di Mancini: servono i risultati, certo, ma anche altro. E chi meglio di lui sa individuare il talento, chi meglio di lui sa indirizzare un movimento. Mancini capisce di calcio, al tempo stesso pretende di essere ascoltato. Altrimenti, tutto diventa più difficile. E talvolta ha riscontrato proprio questo tipo di problema in questa avventura, trovandosi di fronte anche a una certa presunzione di chi ne sa meno di lui.
Ultimamente, però, sembra che la rotta sia cambiata. Lo dicono i risultati, con la Nazionale impegnata nelle qualificazioni al Mondiale: nelle prossime gare Mancini e i suoi sfideranno Tagikistan e il 26 marzo ci sarà il ritorno in un percorso in cui i biancoverdi comandando il gruppo G con sei punti conquistati in due partite grazie alle vittorie contro Pakistan e Giordania, che a giugno affronteranno nuovamente nel ritorno. L’Arabia Saudita in questo cammino sta rispettando le attese.
Una carriera da vincente
Da capire cosa accadrà successivamente. La Federazione, anche nei momenti difficili (vedi, appunto, l’eliminazione dalla Coppa d’Asia), non ha mai preso seriamente in considerazione l’eventualità di un esonero, anche per questioni di immagine. In un periodo storico in cui si sta facendo il massimo per lanciare il calcio arabo ovunque, rinunciare a una figura di questo livello sarebbe stato controproducente: questo sarebbe stato il rischio, maggiore rispetto all’impegno economico che avrebbe comportato questa rottura (i soldi, come noto, non sono un problema).
Cosa deciderà di fare il Mancio? La carriera parla per lui, nonostante il fallimento della mancata qualificazione in Qatar si tratta comunque del c.t. campione d’Europa in carica. Un personaggio che ha allenato tantissimi fuoriclasse e che ha vinto in Italia (tanto), Turchia e soprattutto Inghilterra, riportando la Premier League a Manchester (sponda City) a distanza di 44 anni dal titolo precedente. E proprio da quelle parti Roberto gode ancora di profonda stima. E non a caso, nelle ultime settimane le telefonate di qualche club non sono mancate.
L'interesse della Premier
Ci stanno pensando il Newcastle (a capo c’è il Public Investment Fund, fondo sovrano dell'Arabia Saudita), che in campionato galleggia a metà classifica, ma anche il Chelsea, che con Pochettino sta vivendo una stagione decisamente poco esaltante. I contatti con i Blues sono reali e recenti, perché tra gli allenatori considerati dal presidente Todd Boehly c’è anche Roberto: a Stamford Bridge servirà ripartire in un certo modo, possibilmente spendendo meglio il tantissimo denaro messo a disposizione della proprietà. E farlo affidandosi a uno come Mancini rappresenterebbe un ottimo punto di partenza. Ecco perché immaginare nuovamente il c.t. in Premier non è utopia.