Error code: %{errorCode}

Calcio

I botta e risposta, gli screzi con Szczesny: Juve, cosa c'è dietro le parole di Bonucci

Giovanni Albanese
I botta e risposta, gli screzi con Szczesny: Juve, cosa c'è dietro le parole di BonucciN/A
Negli ultimi giorni diversi protagonisti della squadra di Allegri, quella del primo quinquennio, sono tornati a parlare di quegli anni...

C’era una Juve forte e quasi infallibile in tutti i campi. Che non si fermava quasi mai in Serie A come in Champions League, tanto che per due volte nel giro di pochi anni aveva tenuto testa a squadre ben più ricche di fatturato giungendo fino alla finale della massima competizione europea. Le idee per tanto tempo avevano superato le differenze sul piano economico, avvicinando la forbice tra i budget e i risultati: per merito di un progetto che aveva una logica razionale, che spingeva alla ricerca del risultato con pragmatismo. L’ambizione dopo Cardiff aveva spinto a fare un’operazione mai immaginata fino a quel momento, il colpo del secolo: Cristiano Ronaldo, uno dei fuoriclasse del calcio di tutti i tempi. Ma l’arrivo del portoghese non darà l’effetto sperato: cioè la vittoria della Champions League. Bene cominciare da qui per contestualizzare il prima e il dopo del cambiamento radicale che ha caratterizzato la fine dell’ultima era della Juventus. Negli ultimi giorni diversi protagonisti della vecchia Juve di Allegri, quella del primo quinquennio, sono tornati a parlare di quegli anni straordinari. Un po’ Buffon e un po’ Bonucci, che ha pure risposto a Szczesny circa una considerazione che il portiere polacco aveva fatto qualche mese fa su come il difensore caricasse le partite nello spogliatoio. C’è una grande differenza, però, tra la prima Juve che vinceva e quella che provava ad allungare la striscia vincente: abile allo stesso modo a raggiungere dei risultati importanti ma non così solida come la prima, stando a quanto filtra. Era stato lo stesso Allegri, sul finale del suo primo quinquennio, a sostenere nelle stanze dei bottoni che sarebbe stata necessaria una rivoluzione della rosa, dal momento che riteneva buona parte dei giocatori a fine corsa. La dirigenza però non era della stessa idea e decise di esonerarlo, chiamando Sarri. Fino a quel momento la forza della Juve veniva rappresentata soprattutto dallo zoccolo duro italiano: dalla BBC a protezione di Buffon, da Pirlo e Marchisio che avevano tracciato la strada per il successivo inserimento nel progetto di Pogba, Vidal e ancora Pjanic o Mandzukic, Dybala e Higuain.

I senatori della Juve per un lungo periodo erano stati ben riconoscibili e riconosciuti dentro e fuori dal contesto bianconero, fondamentali anche per risaldare il gruppo nelle difficoltà. “Le fantasiose ricostruzioni di una lite all’intervallo di Cardiff non le meritavamo e mi sentii ferito perché io ero il capitano di quella squadra”, è stata la sintesi di Buffon, che è tornato sulla questione qualche giorno fa. Da quella marcia in più, mossa dal grande senso di appartenenza del zoccolo duro del gruppo, si passò a un qualcosa di meno brillante e omogeneo in pochi anni, sfaldando la leadership. Nella stagione con Sarri, Chiellini - che ereditò la fascia di capitano da Buffon - dovette fare i conti con un lungo infortunio, lasciando a Bonucci il compito di guidare i compagni. Nel frattempo la Juve metteva a segno colpi importanti a livello europeo come De Ligt o Danilo, ma aggrappandosi soprattutto alla leadership di un CR7 non sempre supportato al meglio dai compagni. Tanto da assottigliare col tempo il peso del talento all’interno dello spogliatoio, pur costringendo il club a tenere standard di spesa abbastanza alti. Il cambiamento più forte della Juve di quel periodo non fu tanto caratterizzato dai risultati quanto dai riferimenti che cominciarono a venir meno in poco tempo: prima col ritiro di Barzagli, poi con la cessione di Buffon (che accettò in seguito di tornare per fare il vice a Szczesny) e sempre meno giocatori top di livello mondiale come Khedira o Matuidi.

Un documentario raccontò la stagione sotto la gestione di Pirlo, in cui c’erano molti giovani e solo alcuni reduci della vecchia guardia: da Bonucci a Cuadrado, a supporto di giocatori di prospettiva come Chiesa, oltre a un Cristiano Ronaldo sempre meno felice del contesto. Dietro al fuoriclasse che teneva su la squadra, facendole raggiungere i risultati, continuava a sgretolarsi lo zoccolo duro che aveva assicurato un grande senso di appartenenza per molti anni, anche perché non veniva più alimentato con ricambi all’altezza di chi lasciava. Una condizione limitante anche nel corso dell’Allegri bis, in cui tornarono in superficie dei vecchi screzi con Bonucci (soprattutto la lite in un Juve-Palermo) e non si è mai riuscito a trovare il modo per fare attecchire bene l’inserimento di giocatori importanti, anche del calibro di Paredes o Di Maria, proprio per la debolezza del nucleo storico. Qualche mese fa Szczesny, annunciando l’addio al calcio, aveva raccontato di come in Italia il pre partita si vivesse con grande fermento nello spogliatoio, facendo riferimento soprattutto a come Bonucci (capitano e leader della Juve) provasse a caricare i compagni all’interno dello spogliatoio prima di scendere in campo. Il difensore gli ha risposto in una recente intervista facendo intendere di non aver gradito la rivelazione di un “segreto di spogliatoio”, anche se il rapporto fra i due lo si ricorda abbastanza buono. Di base è emersa semplicemente la diversa gestione del momento: con la tendenza dei calciatori del nord Europa (da qui il riferimento a De Ligt) ad avvicinarsi ai match con più silenzio rispetto agli italiani. Nulla che abbia scoperchiato chissà quali spaccature passate tra Szczesny e Bonucci, ma certo un botta e risposta tra due ex colonne della Juve che palesa i limiti interni al gruppo di qualche anno fa.

Fonte: Gazzetta.it