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Calcio

Idee chiare, pochi cambiamenti: le radici del miracolo Udinese

Alex Frosio
Idee chiare, pochi cambiamenti: le radici del miracolo UdineseN/A
Sembra che i friulani abbiano ritrovato lo smalto dei tempi di Guidolin. E Thauvin è il Di Natale di Runjaic

Udine si è svegliata ieri mattina guardando l’Italia dall’alto in basso, come la sua posizione geografica imporrebbe, ed è una sensazione già provata ma alla quale non era più abituata. Da tanti, troppi anni l’estremo nord est era diventato periferia della Serie A: l’ultima volta che l’Udinese si era issata al comando del campionato era stata all’ottava giornata del 2011-12, con Francesco Guidolin in panchina, stagione poi chiusa a un terzo posto forse oggi impensabile per un club fuori dal ristretto circolo delle ricchissime di Champions, un capolavoro poi bissato l’anno successivo con il quinto posto finale. Da allora, però, i friulani non sono mai andati oltre il dodicesimo posto, in un progressivo abbassamento di ambizioni, risorse, aspettative.

Quasi toccato il fondo, però, al trentesimo l’Udinese sembra aver preso lo slancio verso la superficie: i 10 punti attuali, nella stagione scorsa impiegò 11 partite a metterli insieme. La società ha fatto una scelta inusuale e inaspettata per la panchina puntando sul misconosciuto Runjaic (non la prima, solo qualche anno fa arrivò in Friuli Julio Velasquez, investimento che non pagò quanto questo). Il tecnico tedesco che arriva dal campionato polacco è un lavoratore con idee chiare, e probabilmente proprio i due mesi di lavoro con pochi stravolgimenti del mercato sono stati il primo tassello per questo inizio sprint: l’Udinese è già una squadra definita, a differenza di tante altre ancora in fase di costruzione. Proprio il mercato ha aggiunto risorse (Karlstrom, Ekkelenkamp, Iker Bravo), qualche diamante grezzo ha cominciato a splendere (Lucca, Davis, Brenner). Perché in una squadra che funziona tutti riescono a dare il meglio. Non più tardi di tre lustri fa l’Udinese era avanguardia nella gestione societaria.

Dal punto di vista dello scouting, il club era almeno dieci anni avanti: scandagliava zone del mondo sconosciute ad altri, con una rete capillare di osservazione. Le tecnologie hanno però ampliato la platea e i prolifici mercati in cui l’Udinese andava a pescare sono stati invasi come spiagge nascoste che vengono travolte dal turismo di massa. Le perle sconosciute sono diventate sempre più rare - e già ambite da squali con denti finanziari più aguzzi - e di conseguenza la qualità degli acquisti è scesa. Quella che era la fortuna dell’Udinese si è trasformata in un grande limite: i possibili giocatori da sgrezzare e lanciare sono diventati troppo... grezzi. E il rendimento della squadra ne ha risentito, fino all’ultima difficilissima salvezza, al termine del campionato più tormentato dei 29 tornei consecutivi in Serie A disputati dai friulani. Discorso a parte merita Florian Thauvin: solo chi ha la memoria corta o limitata poteva aver dimenticato il suo talento. Campione del mondo Under 20 nel 2013 quando impressionò più del compagno Pogba, poi campione del mondo con i grandi nel 2018, un esilio dorato troppo precoce in Messico. Ora che sta bene, fa la differenza. Come la faceva Totò Di Natale nell’Udinese di Guidolin. Il primo posto dopo 4 giornate potrà anche non contare niente, come dice Runjaic. Ma è frutto del lavoro. E su questo, nel nord est sanno il fatto loro.

Fonte: Gazzetta.it