Si chiama '“Il momento giusto”, e non potrebbe essere altrimenti, l'autobiografia di Pippo Inzaghi pubblicata e presentata nell'estate 2023. Il racconto di come è nato e sbocciato il talento di uno dei campioni più grandi sempre. Magari tecnicamente non eccelso, ma un bomber senza eguali. Un 'rabdomante del gol', come lo ha definito Adriano Galliani, uno dei suoi più grandi estimatori di sempre. Perché il fiuto del gol è sempre stata la sua arma migliore.
Aneddoti e curiosità, esperienze di cui ha fatto tesoro Pippo e che spera possano servire ai giovani che leggeranno il suo libro. Pagine intense di una carriera straordinaria, costruita in anni di sacrifici e rinunce che gli hanno spalancato le porte dell'olimpo calcistico.
Alcuni estratti dell'autobiografia di Inzaghi
L'addio al Milan e al calcio giocato
«Era stato Allegri a chiudere la mia carriera da giocatore — si legge in uno degli estratti pubblicati dalla Gazzetta dello Sport —. Io e il Milan, infatti, nella primavera del 2012 avevamo trovato un accordo per prolungare di un anno il mio contratto. Io sarei stato un importante collante nello spogliatoio che nel giro di poco tempo aveva perso Maldini, Pirlo, Nesta, Gattuso, Seedorf. Elementi di spessore che avevano lasciato un vuoto profondo. Non avrei accampato alcuna pretesa... Galliani era felice di aver trovato insieme a me questa soluzione. Allegri invece la bocciò, non mi voleva più nello spogliatoio e lo disse al dirigente chiedendo che non mi fosse rinnovato il contratto. Per me fu una mazzata».
L'ultimo gol nel giorno dell'addio
«Parto sulla linea del fuorigioco. Seedorf ha capito in anticipo, il suo lancio è perfetto, io stoppo di petto e mi defilo leggermente sulla destra. Ma non ho bisogno di guardare la porta, non mi è mai servito: io la "sento". Fontana, portiere del Novara, mi esce incontro con prontezza e mi chiude lo specchio, almeno è ciò che crede. Io faccio una girata di destro e la palla finisce in rete. Impazzisco».
Il saluto ai tifosi
«Prima di tornare a centrocampo mi fermo, mi giro verso i tifosi, mi inginocchio, sollevo la maglia e la bacio. L’arbitro fischia, vedo mio nipote Tommaso correre da me. Lo stringo forte, mi si chiude il cuore. Guardo la mia Sud e la saluto... Ciao Milan, ciao San Siro. È stato bellissimo».
Dopo l'addio al calcio giocato
«Nell’autunno del 2015 per la prima volta il pallone era sgonfio: non rimbalzava più. E non riuscii ad assorbire la lontananza dal mio mondo. Mi alzavo al mattino e non sapevo come arrivare a sera. Andavo in palestra, ma senza entusiasmo, solo per far trascorrere il tempo, riempire la giornata ed evitare che la noia e lo sconforto prendessero il sopravvento. Il mio corpo mi mandava segnali inequivocabili di malessere. Mi sono spaventato. Anzi, lo dico chiaramente e senza vergogna: ho avuto paura».
E ancora: «Ho fatto quattro gastroscopie e altre analisi poco piacevoli, viaggiavo sempre con un borsello pieno di cd con ecografie e risonanze che mostravo a vari specialisti. Ho temuto di avere qualcosa di grave, perfino la Sla. Sono stati mesi di disagio e sofferenza, in cui faticavo a trovare una via d’uscita. Qualcuno lo chiama male di vivere, qualcuno in un altro modo, io ho preferito dribblare definizioni e diagnosi e affrontare la realtà. Ho capito qual era il problema e l’ho superato poco alla volta, circondandomi dell’amore della famiglia. I miei genitori sono stati eccezionali: hanno compreso ciò di cui avevo bisogno».
L'amore con Angela
«Sono orgoglioso di essermi meritato questo grande amore, esattamente come se l’è meritato Angela. Ed è stata la conferma di quanto avevo già imparato con il calcio: attraverso i sacrifici arrivano le gioie più belle e dolci. E così ci siamo progressivamente adattati l’uno all’altra con semplicità e piacere. Il gusto di stare insieme era talmente bello da cancellare ogni piccola difficoltà. Tutto si è incastrato alla perfezione. Sì, quello tra me e Angela è l’incastro perfetto».