Con il sorrisetto sornione, ma sempre deciso, spesso puntiglioso. Educato, però intransigente. Beppe Marotta da cinquant’anni prende bonariamente posto alla stessa maniera in ogni trattativa grande e piccola. Lo faceva da giovane direttore sportivo a Varese, figurarsi adesso che ha completato il cursus honorum e siede sulla sedia più prestigiosa della squadra campione. È realismo che si mescola a rigore, un cocktail che sopravvive alla nuova vita presidenziale, come hanno imparato sia Lautaro Martinez che Hakan Calhanoglu, venuti a più miti consigli dopo avere tentato il rilancio al tavolo con l’Inter. Insomma, in questa era il club alza facilmente muri quando pensa sia necessario. La dirigenza lo dice in coro: l’Inter sta sopra al singolo, per quanto importante.
Per evitare concessioni sgradite o deviazioni da una via virtuosa di risparmi, può servire un po’ di ruvidezza. E pazienza se dall’altro lato della barricata si trovi il capocannoniere con la fascia o un regista diventato idolo. Se la richiesta del dipendente non può essere soddisfatta, meglio stoppare in partenza. L’argentino e il turco sono pur sempre stati i migliori nella stagione stellata e la conferma tra Italia ed Europa non può che passare da loro, eppure entrambi hanno sperimentato da vicino la linea della società in tema di rinnovi: respinta la richiesta di maxi-aumento, sono stati poi loro a fare un passo indietro per il bene di tutti. Il prossimo contratto da ritoccare è quello dell’allenatore e il fatto che Simone Inzaghi ancora non abbia messo l’autografo è altamente indicativo: qui il club ha messo un diktat su durata e stipendio e (al momento) non vuole arretrare. Niente di allarmante, è il canovaccio di ogni commedia: l’ottimismo fa sempre da allegro sottofondo, ma serviranno settimane per risolverla.
I giorni di isteria attorno a Calhanoglu sono nati da un interesse (vivo interesse) del grande Bayern che aveva lusingato parecchio il regista fino a farlo tentennare. Ma sono pure la cartina di tornasole di questa precisa strategia aziendale: prima di fare professione di interismo sui social, Calha aveva tentato di strappare un anno di più su un contratto rinnovato un anno fa e in scadenza 2027, ma aveva ricevuto un immediato no dai dirigenti. Netto, più o meno come la successiva voglia di Hakan di dire al mondo che sarebbe rimasto. La strada è perseguita dal nuovo presidente in persona, ma sempre in accordo con l’area sport e il d.s. Piero Ausilio, e soprattutto in piena sintonia con il nuovo proprietario: Oaktree, da fondo speculativo, non è abituato a cedere quando gioca a braccio di ferro.
Qualche settimana fa era toccato a Lautaro, che firmerà fino al 2029 con robusto aumento da nove milioni più bonus: il club ha alzato l’asticella solo per lui, ma non intendeva spingersi fino ai 12 richiesti. Pure in quel caso la temperatura della discussione era salita, al punto che il club si era ritirato sulla solita torre, finché lo stesso Toro ha chiesto all’agente di smetterla di giocare al rialzo. Con Inzaghi non c’è fretta, anche perché la voglia reciproca di continuare insieme la tocchi con mano: i nerazzurri hanno trovato l’allenatore ideale per allungare il ciclo e se lo coccolano. Simone vorrebbe un nuovo biennale fino al 2027, ma l’Inter non si spinge oltre il 2026. E anche sul nuovo stipendio esiste una forbice tra richiesta del tecnico e offerta del club, che non vuole sfondare il tetto dei 6,5 milioni. Al tavolo si troverà una soluzione tra gentiluomini, ma meglio non farsi ingannare dal sorriso dell’interlocutore: la faccia può diventare dura di colpo.
Fonte: Gazzetta.it