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Calcio

Italia dominata dalla Spagna: ci mancano i talenti e qualcuno che salti l'uomo

Andrea Di Caro
Italia dominata dalla Spagna: ci mancano i talenti e qualcuno che salti l'uomoN/A
Ora pensiamo alla Croazia e a qualificarci, poi rivedremo le nostre strategie. Ma in futuro servirà una vera rivoluzione culturale
Non inganni l'1-0 finale. È un risultato molto bugiardo. Fatta eccezione per il tentativo di forcing finale azzurro, la Spagna ci ha nascosto il pallone per 80' e ha avuto solo la pecca di non chiudere prima una partita dominata. Una differenza tecnica individuale e collettiva a tratti quasi imbarazzante: sapevamo che erano più forti di noi, ma non così tanto. Non c'è stata gara, loro hanno giocato, noi schiacciati nella nostra trequarti abbiamo provato a resistere grazie a Donnarumma, migliore in campo. Tiri totali 20 a 4, una differenza abissale nella pericolosità, nella freschezza, nel palleggio, nella qualità, nella creatività. Spalletti, nonostante i suoi dubbi della vigilia, ha deciso di non snaturare la squadra schierando la stessa formazione dell'esordio: col senno di poi sarebbe stato meglio cambiare più di un interprete e magari sin dall'inizio proporre un'Italia più tosta fisicamente. Ma la distanza dalla Spagna è stata soprattutto tecnica. Spalletti è un allenatore moderno, che predilige un calcio offensivo fatto di palleggio, movimento, verticalizzazioni: abbiamo ammirato il suo Napoli, conosciamo le sue capacità, i colpi di genio, le sue brillanti idee. Ma le idee camminano sulle gambe degli uomini. E a diversi nostri interpreti fanno difetto alcune caratteristiche che nel calcio di oggi sono fondamentali: intensità, resistenza, gamba e, soprattutto, capacità di puntare e saltare l'uomo. A parte Chiesa, ieri nullo e per nulla aiutato da un disastroso Di Lorenzo, non c'è nessuno che tenti il dribbling per creare la superiorità numerica. Non è questione solo di tecnica e di coraggio individuale, ma di abitudine. Se la Spagna riesce ciclicamente a ricreare gruppi di giocatori di grande qualità che tentano costantemente la giocata, non può essere un caso. Parliamo di movimento calcistico: amano e cercano un calcio più spettacolare e offensivo rispetto a noi e lanciano senza paure talenti giovani, spesso giovanissimi, dandogli spazio anche nei grandi club. Permettono loro di crescere giocando e anche sbagliando. Vedere un ventenne titolare nei nostri top club è un miraggio. Al massimo chi li ha, li manda in prestito a farsi le ossa o li vende preferendo trentenni più esperti nelle grandi competizioni. Abbiamo sempre timore di rischiare, riempiendoci la bocca col "peso di certe maglie" e con la "soggezione che i giovani possono avere in certi stadi". Scuse. Il coraggio e la sfrontatezza non fanno parte della nostra mentalità che, salvo rarissime eccezioni, resta difensiva ed è improntata più a non prenderle che a darle. Siamo maestri di tatticismo, ma non di coraggio. Sin dai settori giovanili insegniamo tutte le strategie tattiche, ma ci siamo scordati da tempo di chiedere ai nostri giovani calciatori di rischiare la giocata e il dribbling. Preferiamo il passaggio laterale a 5 metri, rispetto al tentativo di puntare e saltare l'uomo. Abbiamo squadre di club che giocano più in orizzontale che in verticale. Nella nostra Serie A gli attaccanti e i giocatori di fascia che creano superiorità numerica sono pochi e tutti stranieri. Nella formazione iniziale di Spalletti solo Chiesa aveva certe caratteristiche: dietro a Scamacca, ieri invisibile, Frattesi ha capacità inserimento e Pellegrini buona qualità, ma né l'uno né l'altro salta l'uomo con facilità. In Italia siamo bravissimi a salire e scendere dal carro. La differenza tra Italia e Spagna c'è, ma anche altre celebrate nazionali come l'Inghilterra non stanno brillando. Il percorso è ancora lungo, certo oggi si fa fatica a capire dove trovare le chiavi giuste per rilanciare un gruppo che esce ridimensionato da questa gara. Ma se non possiamo competere a livello di qualità tenteremo di farlo con la strategia, provando a vincere cogliendo i momenti, coprendo i nostri limiti e sfruttando le nostre qualità. Giocare alla pari oggi con la Spagna provando a imporre il gioco appare un mezzo suicidio. Non siamo a quel livello, capirlo e accettarlo è il miglior inizio per trovare delle contromisure. Ora c'è la Croazia, nonostante i suoi vecchi talenti appaiano stanchi e a fine ciclo, resta un gruppo di qualità che nella partita secca può batterci. Abbiamo due risultati su tre per andare avanti. Perdendo dovremo sperare di passare insieme ad altre terze. Ci sono pochi giorni per ricaricare le batterie, ritrovare certezze ed entusiasmo. Non tutte le avversarie sono la Spagna, con molte altre ce la giochiamo. Quindi evitiamo voli pindarici ma anche il de profundis. Ora conta passare il girone, poi si vivrà partita dopo partita. Possibilità di crescere con nuove strategie ci sono, creare giocatori che purtroppo non abbiamo invece è impossibile. Per quello servirà tempo e una rivoluzione culturale.