"Presseremo e attaccheremo come con l'Albania. Sono curioso di scoprire se sapremo farlo anche contro una delle squadre più forti e riconoscibili. La Spagna ci dirà chi siamo". La curiosità di Luciano Spalletti è quella di tutti gli italiani ed è il senso profondo della partita di Gelsenkirchen, più ancora del risultato, comunque determinante per la nostra qualificazione agli ottavi, agevolata dal pareggio di ieri tra Croazia e Albania. Vogliamo scoprire il nostro valore e quanto sia legittima la nostra speranza di fare strada in direzione Berlino. La Spagna toglierà il velo che ancora ricopre questa giovane Italia, ricostruita in fretta e furia dopo le imbarazzanti dimissioni di Roberto Mancini.
Quando la Nazionale di Marcello Lippi sbarcò in Germania nell'estate marcia di Calciopoli, 2006, era avvolta dallo scetticismo, ma dentro di sé sapeva di essere forte. Lo avrebbe spiegato Lippi nel suo libro: "Le vittorie nelle amichevoli di primavera contro Germania e Olanda ci avevano dato fiducia e autostima". Nelle 11 partite azzurre, Spalletti ha incontrato una sola squadra più forte, l'Inghilterra, e ci ha perso nettamente a Wembley. Battere la Spagna ci darebbe la certezza aritmetica del primo posto nel girone e di affrontare una terza agli ottavi, ma l'impresa ci farebbe anche crescere davanti allo specchio e agli occhi degli altri. La parola impresa non è esagerata. Spalletti è il primo a riconoscere la forza della Roja ("Sono tra i migliori al mondo"), anche se stuzzica: "Non i migliori, esistono anche gli altri. Non sopravvalutatevi, spagnoli...".
Il c.t. conosce bene le difficoltà che troveremo stasera. La prima: "Ci salteranno addosso". La Spagna presserà forte, ad alta intensità. È così che ha schiantato la Croazia. Non potremo permetterci le pause e i cali di Dortmund. Diceva Liedholm: "Gli schemi sono belli in allenamento, riescono tutti". Non che il nostro debutto sia stato un allenamento, ma gli albanesi si ritiravano e ci lasciavano palleggiare in santa pace. Questa sera non accadrà. Come prevede il c.t.: "Ci attaccheranno anche il portiere". Significa alzare la velocità di passaggio in uscita, senza sporcarne la qualità, sapendo che, a ogni palla persa, la Spagna infilerà una ripartenza velenosa sull'arco. Le valvole delle marcature preventive andranno strette più del solito, tappati gli spiragli di fascia, perché quei monelli di Yamal e Williams pungeranno come api. Noi non possiamo permetterci i loro picchi di velocità. Morata ci conosce e ci ha sempre creato problemi: nell'Europeo scorso ha pareggiato il vantaggio di Chiesa, anche se poi si è fatto perdonare con un rigore di burro. Lo spagnolo attacca la profondità meglio di Scamacca. "Lui non è pigro", ha chiosato Spalletti, con una puntura forse evitabile. Ma non penseremo solo a difenderci.
Luciano è stato chiaro: "Se lasciamo a loro il pallino, ne usciamo male. Non possiamo pensare solo a ripartire". Questo l'aspetto più affascinante della sfida alla Spagna: l'orgoglio di giocarcela senza abbassare lo sguardo. La consapevolezza di affrontare un avversario superiore per tecnica ed esperienza (Carvajal, 6 Champions) non genera paura, ma il contrario: il coraggio di osare il nostro calcio, ammirato nel primo tempo di Dortmund. Un'idea evoluta, un'intelligente miscela tra gioco posizionale, che apre gli interspazi a Frattesi e Pellegrini, e quello relazionale che raggruppa uomini attorno alla palla, compresi due difensori giochisti come Calafiori e Bastoni. In questi giorni il c.t. ha valutato l'opportunità di irrobustire la "scocca" della squadra.
Lo si è intuito anche ieri quando ha ragionato sulla differenza tra il massiccio Rodri, che diventa quinto difensore, e il peso piuma Jorginho, che non può permetterselo. Da qui la tentazione di affiancargli un Cristante o di piantare un Mancini al centro della difesa. Ma ha senso lasciare a casa Locatelli, perché troppo "conservativo" e poi ricorrere a Cristante alle prime difficoltà? Realismo tattico a protezione della squadra o tradimento della idea con il rischio di trattenerla troppo indietro? Cambiare o confermare? Questo si è chiesto Spalletti nelle ultime ore. Ha senso disegnare la bellezza e poi velarla di prudenza? Un po' come mettere i mutandoni agli splendidi nudi michelangioleschi della Cappella Sistina, opera commissionata a Daniele di Volterra, detto per questo il Braghettone. Spalletti, nato a una trentina di chilometri da Volterra, metterà i mutandoni alla sua Nazionale con Cristante e Mancini o confermerà gli undici di Dortmund? Questa sera, alla Veltins-Arena di Gelsenkirchen, scopriremo quale consiglio ha portato la notte.
Tutto esaurito da 50.000 anime, in tribuna anche il re di Spagna, Felipe VI. Negli ultimi 30 anni, dopo Usa '94, li abbiamo battuti una volta sola (Euro '16) in partite ufficiali entro il 90', sarà dura, ma ci crediamo, perché uno come Barella non ce l'hanno, perché Chiesa li ha già castigati, perché non scambieremmo Scamacca con Morata, perché ci fidiamo del lavoro di Spalletti. E perché siamo belli, con o senza mutandoni.
Fonte: gazzetta.it