Il prossimo 1° luglio, il calcio femminile italiano festeggerà il primo anno dal riconoscimento del professionismo nel campionato di Serie A. Sono ancora tanti i passi da fare per combattere pregiudizi e stereotipi e per favorire la crescita costante del movimento, per questo abbiamo incontrato Katia Serra, ex calciatrice e sindacalista, oggi commentatrice tecnica della nazionale under 21, per fare un bilancio della prima stagione professionistica e per parlare del prossimo Mondiale dove le Azzurre scenderanno in campo per la seconda volta consecutiva dopo i precedenti vent’anni d’assenza.
Katia, facendo un bilancio com'è andata questa prima stagione professionistica per il calcio femminile italiano?
Il bilancio è discreto. Ci sono aspetti negativi come quello legato agli impianti che devono crescere per elevare il prodotto televisivo, la comunicazione che è ancora latitante, soprattutto sotto il profilo della carta stampata, e l’assenza di un programma settimanale dedicato al campionato. Inoltre, personalmente sono sensibile alla tematica mercato legata alle giocatrici straniere perché credo si stia eccedendo troppo in quella direzione. Tra gli aspetti positivi, invece, c’è la formula del campionato che è stata utile nel suo complesso per la crescita delle giocatrici, l’attenzione e la cura dei dettagli sempre più crescente vista in eventi come la Coppa Italia e la Supercoppa, e la crescita, anche se i numeri sono ancora esigui, degli spettatori, cifre che però restano ancora inferiori rispetto a quelle che si registrano per eventi simili al di là dei nostri confini.
Quanto ha già influito in un solo anno il professionismo sul rendimento delle calciatrici e sulla competitività delle squadre?
In realtà il professionismo significa tutele che prima mancavano penso in particolar modo ai contribuiti pensionistici, ma sotto il profilo della professionalità già si stava lavorando da alcuni anni nella giusta direzione quindi credo che sia cambiato poco sotto questo aspetto. Gli staff certo si sono implementati con qualche figura in più, un aspetto di per se molto importante, come credo che giocare partite di alto livello tra giocatrici della stessa qualità sia stato molto formativo e da questo punto di vista io penso che la stagione abbia confermato che ci sia stato un miglioramento.
Qual è la giocatrice che ti ha stupito di più in questa stagione e qual è ti ha dimostrato di essere una certezza?
Non conoscevo Tabitha Chawinga e credo che sia una giocatrice fortissima non solo per il potenziale atletico, ma anche per la qualità del suo mancino. Certezze ne ho viste tante, se dovessi sceglierne una direi Cecilia Salvai che non ha partecipato né all’ultimo Mondiale né all’Europeo a causa di due gravi infortuni alle ginocchia, ma nonostante ciò ha ricominciato a giocare a ottimi livelli e la sua presenza in campo si sente moltissimo non solo per l’eleganza dei suoi gesti, ma anche per la sua attenzione in fase difensiva e la qualità nella costruzione.
Dopo cinque anni di dominio assoluto della Juventus, la Roma, nata nel 2018, è riuscita a conquistare Scudetto e Supercoppa, quale pensi sia stato il fattore determinante di questi successi?
Sono tre gli elementi che hanno caratterizzato la stagione della Roma: lo spirito di squadra perché tutte quante, anche le giocatrici meno coinvolte, hanno avuto un rendimento importante quando sono state chiamate in causa, la capacità di mister Spugna di aver individualmente migliorato ogni singola giocatrice, elemento questo è stato ciò che ha aiutato la squadra ad alzare la qualità. Terzo, ma non meno determinante, il fatto che alla prima esperienza in Champions la squadra, andando avanti in questa avventura, ha preso coscienza dei propri mezzi, della propria qualità e quindi ha rinforzato l’autostima, rendendosi conto di poter costruire qualcosa di davvero importante.
La Juve si è portata a casa la Coppa Italia negando il triplete alle giallorosse, pensi sia un nuovo punto di partenza per Montemurro e le sue calciatrici?
In questo momento mi viene difficile pensarlo perché la stagione si è conclusa e ogni effetto svanisce dato che passeranno mesi prima di iniziare la nuova stagione. La Juve dovrà operare bene nel mercato sia con i nuovi acquisti sia rispetto a conferme e cessioni per continuare in un percorso che sono convinta la vedrà protagonista, ma essendo consapevole che anche la concorrenza si sta rinforzando. Per questo ritengo che sia indispensabile non solo fare scelte relative al piano tecnico-tattico, ma anche sotto l’aspetto umano e caratteriale perché troppe volte quest’anno sia nelle dichiarazioni di Montemurro sia in quelle di alcuni calciatrici, in particolare in quelle di Bonansea che ci ha sempre messo la faccia, è emerso ci sono state crepe e divergenze che non sempre hanno permesso alla squadra di avere quella compattezza che abbiamo si letto sui social, ma che non è stata confermata in campo con i fatti. Quindi ritengo che un aspetto fondamentale per ripartire sia quello di fare scelte tenendo conto che la forza del gruppo viene prima di tutto.
Andiamo in Europa, il Barcellona ha vinto per la seconda la Women's Champions League, tu che hai giocato in Spagna quando pensi che si potranno raggiungere gli stessi livelli di competitività e di sviluppo dal punto di vista strutturale anche in Italia?
Il Barcellona è sicuramente un top club e il suo standard è frutto di una regione quella della Catalogna che culturalmente è molto più avanti nell’accettazione delle minoranze e nell’empowerment femminile per cui se si mette a confronto con la nostra cultura siamo molto lontani sotto il profilo della mentalità. Inoltre, il calcio spagnolo sta molto più avanti nella coltivazione del talento non solo per i metodi di scouting, ma anche sotto l’aspetto delle tappe di sviluppo e di crescita delle giovani ragazze a partire dal fatto che è proprio diverso il tipo di impostazione metodologica e questo lo è sia nel calcio femminile sia in quello maschile dove la tecnica insieme all’aspetto cognitivo della velocità sono al centro progettualità. La forza della Spagna nasce perciò non solo dalle strutture che ci sono e che sono un plus, ma proprio da una metodologia d’allenamento che parte dalla cantera dove tecnica e pensiero strategico sono ben sviluppati e dove l’aspetto atletico e fisico ne diventano una conseguenza non un punto di partenza.
Parlando di Italia tra poco la Nazionale si preparerà ad affrontare, per la seconda volta consecutiva dopo 20 anni, un Mondiale, cosa ti aspetti dalle azzurre?
L’abbiamo sempre detto e non mi stancherò mai di ripeterlo fino alla noia: affrontare un girone al Mondiale è più facile di quello di un europeo. Al di la della Svezia, le altre squadre del girone dell’Italia sono Argentina e Sudafrica e le difficoltà che si dovrebbero affrontare sono inferiori, quindi l’obiettivo minimo è superare il girone, anche se non mi sembra che ci arriviamo al massimo delle nostre potenzialità. Io faccio parte di coloro che pensano che si poteva cominciare con più anticipo a fare un progressivo cambiamento e ringiovanimento della rosa, ma allo stesso tempo però sono fiduciosa perché se prima erano solo le giocatrici della Juventus ad aver alle spalle un’esperienza internazionale quest’anno ci sono anche tante giocatrici della Roma ad averla maturata. Per quello penso che la squadra abbia i mezzi per mettere in pratica gli insegnamenti e le esperienze maturate nel percorso di Champions. Inoltre, credo che comunque una volta superato il girone dovrebbero esserci o l'Olanda o gli Stati Uniti, due potenze del nostro calcio, e se con le prime potremmo giocarcela, allo stesso tempo vedo le statunitensi decisamente più avanti di noi. Infine, per fare bene bisognerà programmare nel dettaglio l’avvicinamento all’evento con i giusti tempi di riposo e di recupero psicofisico. Spero anche che ci sia qualche sorpresa nelle convocazioni finali perché le novità portano entusiasmo e questa Nazionale ha bisogno di ritrovarne e di stupire se stessa non solo tutti i tifosi che la amano.
Katia prima di salutarci tu hai raccontato la tua storia nel libro "La mia vita in fuori gioco", pubblicato da Fabbri Editore, quali sono i punti forti che secondo te possono aiutare tutte quelle ragazze che sognano di diventare calciatrici?
La mia non è una pura biografia altrimenti avrei potuto specificare e raccontare molti più aneddoti, diciamo che ritengo che non servano solo i sacrifici, ma tantissima umiltà per trasformare la propria passione in un mestiere. Credo che un punto forte che emerge dal libro è il non accontentarsi, ma andare oltre il limiti che si hanno con se stessi e che si trovano nell’ambiente circostante avendo l’intraprendenza e il coraggio di affrontarli anche al costo di rimanere sole e di vivere momenti di solitudine che sono certamente forti e pensanti sotto il profilo psicologico, ma anche formativi nella strutturazione del carattere. Inoltre, ritengo che sia fondamentale avere della capacità tali da rendersi conto che bisogna curare tutti i dettagli a partire dalla metodologia, dal recupero infortuni e dal proprio benessere perché per quanto si metta il calcio al centro del proprio progetto bisogna avere parallelamente una vita sociale appagante. Ultimo, ma non meno importante giocare a calcio oggi è cambiato in meglio per le calciatrici, ma non bisogna dimenticare che ci sarà sempre da lottare perché la nostra cultura non è pronta a viverlo come un aspetto così frequente e tradizionale. Per questo mi auguro che la lettura del libro faccia riflettere le nuove generazioni facendo capire che spetterà a loro lottare non tanto per loro stesse, ma per tutta la categoria.