No, stavolta non ci siamo stropicciati gli occhi com’è successo venerdì quando abbiamo strabattuto la Francia al Parco dei Principi. Del resto non si può sempre entusiasmare, né si possono giocare solo grandi partite. A maggior ragione se cambia il contesto: un conto è esibirsi nella bolgia di Parigi contro la squadra di Mbappé, un altro affrontare Israele in campo neutro e in uno stadio pressoché deserto. Stavolta, insomma, non c’erano i presupposti per un grande spettacolo azzurro, e infatti non siamo rimasti incantati da quanto abbiamo visto. Eppure le indicazioni sono state comunque confortanti, perché la crescita di una squadra passa anche attraverso vittorie come questa: tanta concretezza, pochi pericoli, segnali di maturità e personalità da parte di un gruppo molto giovane. Potevano giocare con un po’ di presunzione, gli azzurrini (ci viene da chiamarli così, come se fossero una nazionale giovanile, del resto i soli over 25 nella formazione titolare erano Gatti e Dimarco che di anni ne hanno 26, mica 30). Niente presunzione, invece: fiducia in se stessi, collaborazione con i compagni, disponibilità al sacrificio.
L’avversario non è stato sottovalutato e non era scontato che accadesse. Una sola ingenuità, la rete incassata al 90’: l’Italia avrebbe potuto finalmente chiudere una partita con la porta inviolata, non accade dal 9 giugno nell’amichevole contro la Bosnia, invece è arrivata a sei incontri consecutivi nei quali ha preso gol. Un dettaglio? Non proprio. Ma certo quella rete non macchia più di tanto la bella serata azzurra. Ci è piaciuta la decisione di Spalletti di confermare i tre ragazzi in mezzo al campo: Frattesi, Ricci, Tonali. Sono freschi, hanno voglia, si cercano, si completano Sanno giocare a calcio. A Parigi erano stati splendidi contro un’avversaria che poteva spaventare, a Budapest sono stati lucidi e freddi avendo di fronte una rivale inferiore sul piano tecnico ma che rischiava di diventare fastidiosa se affrontata in modo sbagliato. Il ct ha capito che non è più il momento di mischiare le carte in continuazione. Bisogna dare continuità ai calciatori e al modulo, soprattutto a centrocampo, ed è giusto ricostruire l’Italia attorno a questo terzetto più - ovviamente - Barella, che rientrerà nel gruppo alla prossima convocazione: è un bel modo per provare a mettersi alle spalle le sofferenze dell’Europeo.
A Budapest abbiamo anche assistito a un evento quasi... storico: ha segnato il centravanti dell’Italia, che stavolta era Kean (in azzurro non la metteva dentro addirittura da tre anni, dall’8 settembre del 2021). Non è fondamentale che ci siano i gol del numero 9 affinché una squadra vinca, però possono aiutare. Durante la gestione Spalletti, fino a ieri, la prima punta aveva realizzato appena quattro reti su ventiquattro, le ultime appartenevano a Retegui, sei mesi fa. Un altro indicatore di crescita? Troppo poco per dirlo, aspettiamo conferme. Kean ha comunque trasmesso sensazioni positive: dopo un anno orribile, potrebbe vivere la stagione del riscatto tra azzurro e Fiorentina. Dicevamo di Frattesi. Anche stavolta è stato il migliore. Il suo rendimento in Nazionale è impressionante: in ventuno partite ha segnato sette gol, una media da attaccante, e ogni volta dà uno straordinario contributo di dinamismo, concretezza, pericolosità. Diventa difficile immaginare che nell’Inter possa vivere un’altra stagione come quella passata, nella quale ha giocato pochissimo: in campionato appena sei partite da titolare, ma la metà di queste a scudetto già conquistato, e soltanto 935 minuti (276 a obiettivo raggiunto).
Eppure, in quegli spezzoni di gara, ha realizzato sei gol ed è stato spesso prezioso. E’ vero che Inzaghi ha un centrocampo forte e completo, ma in alcuni componenti decisamente avanti con l’età. Mkhitaryan - ad esempio - è un campione, però corre verso i 36 anni. Frattesi non deve necessariamente diventare un titolare inamovibile, ma non può nemmeno continuare a giocare spezzoni di partita. Com’è successo nello scorso campionato e come sta accadendo anche in questo torneo, nel quale finora è stato impiegato 53 minuti in tre partite, in media nemmeno 20 minuti a incontro (con l’Atalanta è entrato al 79’ benché il risultato fosse sul 4-0 già dal primo tempo). In questo modo non viene penalizzato solo Frattesi ma, alla lunga, rischia di rimetterci anche l’Inter. Fino a quando un giocatore così decisivo riuscirà a trasformare in energia positiva il ruolo di comprimario al quale è relegato in nerazzurro? E che vantaggio ha l’Inter nel concedere così poco spazio a un giovane di sua proprietà?
Fonte: Gazzetta.it