Al momento gli resta la notevole dose di onestà intellettuale che fin qui lo ha sempre contraddistinto - "Giusto fischiarci, lo avrei fatto anch'io" -, ma poco altro. Paulo Fonseca al termine dell'ennesimo orrore stagionale può giusto tenersi stretto un clean sheet che fino ad ora era riuscito soltanto quattro volte in quindici uscite. Magari si può ripartire da qui, certo, dal momento che la fase difensiva è il grande cruccio del Milan 2024-25. Il problema vero, però, in realtà è racchiuso proprio in questo verbo: ripartire. Quante volte dovrà ancora accadere lungo questa stagione? Perché se occorre farlo, significa che si è caduti, e a forza di cadute gli obiettivi volano su altre coordinate. I numeri in campionato del Diavolo iniziano a essere inquietanti, e d'altra parte questa è la peggior partenza rossonera dalla stagione 2019-20. Continuare a parlare di scudetto - probabilmente più per obbligo di blasone che per convinzioni reali - per una squadra che ha vinto cinque partite su dodici significa non essere aderenti alla realtà. Fingere di non vedere la realtà dei fatti. Che cosa potrebbe succedere a medio termine? La scorsa annata il destino di Pioli fu gravato soprattutto da una situazione in infermeria che a un certo punto uscì da ogni logica. Quel problema è stato risolto - numero di infortuni fisiologico per essere quasi a dicembre -, ma in questo momento il Milan si qualificherebbe per la Conference. Lungo questi primi mesi di Fonseca, il timore della proprietà è stato quello di ritrovarsi a un punto in cui la forbice con la vetta della classifica - o comunque, con le prime della classe - avrebbe potuto essere eccessivo. Nessuna tabella in senso spicciolo, sia chiaro, ma piuttosto la percezione del gap. Che adesso non solo c'è con tutta evidenza, ma sta ulteriormente dilatandosi. Se lo scudetto, ragionevolmente, non è più fra gli obiettivi già da qualche partita, il piazzamento in Champions non è un'opzione ma un imperativo finanziario. Il futuro di Fonseca passa molto banalmente da qui, a prescindere dai tre anni di contratto. Allo stesso tempo sarebbe stato lecito attendersi una mossa tattica capace di spiazzare Motta. Fonseca è lo stesso allenatore che ha incartato e rispedito al mittente Inzaghi e Ancelotti. Ma hanno prevalso, anche in lui, i timori. La replica di Musah in versione Bernabeu, a tutta fascia sulla destra, è stata ammazzata nella culla dall'assenza di Pulisic, che invece a Madrid c'era. Contro la Juve, invece, dentro Yunus e Loftus-Cheek alle sue spalle, per un messaggio alla squadra che è suonato più o meno così: in assenza di Pulisic, mi cautelo perché da quella parte Cambiaso e Yildiz mi mettono ansia. Quale sarebbe stata l'alternativa? Fuori Musah e dentro Chukwueze, che ha attitudini difensive decisamente inferiori rispetto al nazionale americano, ma avrebbe senz'altro dato maggiore vivacità a una fase offensiva asfittica. Ci si attendeva un guizzo, dal tecnico portoghese, contro la Juve. Un po' perché lo esigeva la classifica, un po' perché - pur in mezzo a mille difficoltà - i precedenti con Inter e Real erano confortanti. Della serie: il Milan di Fonseca stenta a Parma e Cagliari, però pare decisamente portato per le serate di gala. No, non stavolta. Il primo problema, quello più evidente, nell'esibizione contro i bianconeri è stato la paura di fallire. Teste attorcigliate su se stesse, ovvero gambe col freno a mano tirato. Una squadra vuota nell'anima. Una responsabilità, questa, che va in capo soprattutto all'allenatore: per quale motivo Paulo è stato in grado di liberare le menti dei suoi ragazzi prima del derby e del Bernabeu, nei giorni che precedevano incroci potenzialmente già assegnati (agli avversari ovviamente), e stavolta si è ritrovato una squadra succube dei propri fantasmi?
Fonte: Gazzetta.it