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Calcio

La Serie A va piano e non va lontano: siamo ultimi per aggressività

Sebastiano Vernazza
La Serie A va piano e non va lontano: siamo ultimi per aggressivitàN/A
Il nostro campionato fanalino di coda per recuperi offensivi, duelli e contrasti vinti, pressing. Ci si allena e si gioca a ritmi bassi

Arne Slot ci ha sbattuto in faccia la porta dell’intensità. L’allenatore del Liverpool non ha convocato Federico Chiesa per la partita di Champions contro il Lipsia. Richiesto di spiegazioni, ha rifilato un cazzotto alla Serie A, il campionato da cui l’attaccante proviene. "Chiesa è arrivato in Premier League, un torneo in cui l’intensità potrebbe essere più alta rispetto all’Italia", ha detto Slot, e fin qui siamo nel recinto dell’ovvio, è opinione diffusa che le cose stiano così. La mazzata è arrivata alla frase successiva: "Difficile dire quando Federico ritornerà. È una grande delusione per lui il fatto di dover entrare e uscire continuamente dagli allenamenti". E qui la questione si aggrava, Slot dice che Chiesa non regge il lavoro quotidiano. Come se non bastasse, in Inghilterra sostengono che Slot abbia abbassato il tasso di aggressività del Liverpool rispetto alle stagioni con Jurgen Klopp timoniere. "L’intensità è la nostra identità", diceva Pepijn Lijnders, tecnico olandese, per sei stagioni assistente di Klopp ad Anfield e oggi allenatore in prima del Red Bull Salisburgo, squadra per niente intensa a giudicare dalla Champions in corso: zero punti, zero gol, nove reti subite.

Che cos’è l’intensità? E come si misura? Definizione: l’intensità è la capacità di mantenere alti livelli di frequenza fisica e di applicazione mentale. Misurazione: l’intensità si quantifica con i dati rilevati dai gps che tutti i giocatori ormai indossano dentro quella sorta di reggiseno sotto la maglia. Questi numeri vengono miscelati nella scala di percezione dello sforzo o scala di Borg, dal cognome del suo inventore Gunnar Borg. I parametri principali della scala di Borg sono la frequenza cardiaca massima e il massimo consumo di ossigeno, valori che gli staff medico-atletici dei club tengono riservati per ragioni di privacy e di segretezza. Al massimo conosciamo i dati sui chilometri percorsi e i picchi di velocità, di per sé poco significativi. Anche la velocità media – che potrebbe aiutare a definire una prestazione intensa o meno – è coperta. La scala di Borg viene maneggiata con cura, non si può andare oltre una certa soglia perché si rischia l’eccesso, con relative conseguenze quanto a infortuni. E poi c’è l’aspetto mentale. Il cervello ha dentro di sé un limite oltre il quale lo sforzo viene percepito come una fatica difficile da sostenere. Volgarmente, è il punto in cui si molla. Per migliorarlo, è importante evitare che l’allenamento sia noioso – da qui la necessità di variare gli esercizi – ed è fondamentale che il lavoro paghi: in partita ci si deve sentire forti e superiori, e si devono avere i risultati. I giocatori seguono ovunque gli allenatori che li fanno vincere. Rinus Michels, il guru dell’Ajax del calcio totale all’olandese, massacrava i suoi giocatori sulla cosiddetta collina del disonore: continue ripetute in salita, sino allo sfinimento, e “disonorato” era il primo che cedeva e stramazzava al suolo. Lo accettavano di buon grado perché quegli sforzi consentivano loro di viaggiare in gara a una velocità media superiore. Lo stesso accade con Antonio Conte, per stare ai giorni nostri. L’aneddotica sui suoi allenamenti è copiosa: quella volta che al Tottenham il coreano Son svenne e l’inglese Kane vomitò; quell’altra che alla Juve in America impose una seduta a 42 gradi percepiti e con il 70 per cento di umidità. Da un punto di vista tecnico-tattico, l’intensità può essere valutata attraverso alcuni indicatori specifici. Su questo terreno le ragioni di Slot sono evidenti. La Serie A esce male dal confronto con gli altri quattro maggiori campionati europei e con la Champions. Soltanto in Bundesliga fanno peggio per attacchi verticali. L’Italia è ultima per recuperi offensivi in seguito a pressing e per palloni riconquistati nell’ultimo terzo di campo, dimostrazione di come l’aggressività, correlata all’intensità, sia deficitaria. Le nostre squadre non attaccano con continuità e forse c’entra la dispersione di tempo con una costruzione dal basso di frequente leziosa e rallentata. Ultimi anche per duelli e contrasti vinti, non ci resta che riflettere. E pensare che negli anni 80 Arrigo Sacchi con il Milan si prese l’Italia, l’Europa e il mondo al grido di “intensità”. Lo prendevano in giro ("Liberté, egalité, intensité"), ma aveva ragione lui.

Fonte: Gazzetta.it