Ogni anno il Dieci Maggio c’è l’usanza, per noi a Napoli onorare lo scudetto.
Ognuno deve fare la creanza, ognuno deve avere ‘stu pensiero.
Quest’anno, come a Totò nella Livella, è capitata un’avventura, l’avrai sentito dire, Diego, anche se riposi, in fondo non sta passando sotto silenzio.
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L’attesa è finita. Questo è il rumore che fa la gioia. La gioia è quando ti abbracci con qualcuno che non conosci. Ci sono di nuovo le bandiere alle finestre, e nei vicoli, e nelle piazze, e tutt’intorno alle fontane. Anche i marciapiedi sono azzurri, per le strade di Napoli tutti stanno posando i piedi sul colore della gioia. Stanno volando come fanno i droni, anche se pensano di camminare.
La gente ha disteso tra un palazzo e l’altro certe fettucce di plastica che quando sbattono per il vento, fanno lo stesso rumore dei tamburi, te li ricordi i tamburi, Diego. Adesso è tutta una tammurriata. Una tammurriata azzurra.
Trentatré anni sono passati dall’ultima volta che Napoli era vestita così. Nel libro dei sogni e dei numeri trentatré è il simbolo degli anni di Cristo. Significa sacrificio, amore assoluto, sofferenza, passione. Lo so che non ti scandalizzi, Diego, per questa mescolanza tra profano e sacro. Tu questa città la conosci. Ha pregato te come prega i suoi santi affinché sciolgano il sangue e la proteggano.
È sempre qualcosa più di sé stessa, Napoli. Mette la malinconia in un giorno di festa e si fa una risata nei giorni della disperazione. Ti fa credere di essere ‘o paese d’’o sole e poi ti accoglie con la pioggia; la pioggia che cadeva quando segnasti il tuo gol più incredibile alla Juve.
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Trentatré sono stati gli anni, ma i sogni di più, molti di più, sono stati decine, migliaia, milioni. Li abbiamo divisi tra quelli che si potevano solo sognare e quelli che è stato possibile pure accarezzare. Qualcuno si è frantumato presto, qualcun altro è svanito all’improvviso, come le bolle di sapone, Diego, o come uno sbuffo di borotalco.
Invece questo sogno, Napoli lo sta stringendo, come si stringe un amore, un giocattolo, una figlia.
Se tu fossi qui, adesso io saprei cosa fare. Ti direi, Diego, quello che non ti ho detto mai. Oppure dovrei forse dirti: che cosa ti stai perdendo. Come c’era scritto sul muro del cimitero di Poggioreale, la prima volta. Ma il giorno dopo una mano aggiunse con la vernice: E chi ve l’ha detto?
È così: chi ce l’ha detto? Napoli dialoga coi suoi morti, i morti a Napoli non se ne vanno mai, sono il ricordo di un amore che ci cambia e non ci lascia. Sono vivi in un altro modo, sono gli spiriti guida, come il Munaciello che dentro le case qualche volta ruba e qualche volta dona. Lo sai, Diego, come sono fatte certe mani misteriose, inspiegabili, o ci credi o no, portano un Mondiale in Argentina dopo 36 anni e uno scudetto a Napoli dopo 33. La mano di qualcuno che lassù ti ama.
Quando c’eri tu, lo stadio portava il nome di un santo, e adesso porta il nome tuo. Il nostro vecchio campo Paradiso è abbandonato. Sembra una di quelle città fantasma nel vecchio West. Ma il vero paradiso è in giro. È piena di turisti, Diego, la tua Napoli. Vengono a vedere i set delle serie tv, i posti al sole, il mare fuori. Stasera sono venuti a vedere i tuoi murales e la città dipinta. Vengono per capire l’inspiegabile, il ricordo di un amore che ci parla e non ci passa. È nel canto del mare. È in una lettera d'amore. Eccola, Diego, la lettera di Napoli per te.
Guarda un’ultima volta quaggiù.
Nessuno è più bella di Partenope stasera.